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Commento al Vangelo della II domenica di Quaresima. Dopo la tentazione, un’altra ‘luce’ ci chiama a seguire Gesù

Commento al Vangelo della II domenica di Quaresima

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Di padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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II domenica di Quaresima
Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

Dopo la luce accecante del deserto della tentazione, deserto in cui il sole è fonte di aridità, di sete e di pericolo, oggi la Chiesa ci espone ad un’altra luce, ad un altro sole: quello che brilla sul Tabor (monte che già le prime generazioni cristiane identificarono con il luogo della Trasfigurazione) facendo splendere di candore e di bellezza Gesù di Nazareth. La Trasfigurazione, la metamórphosis, è pagina centrale di rivelazione che non annulla la lacerazione della croce, via che il Figlio sta assumendo, ma anche pagina che ci chiede di imboccare quella stessa via con Lui!

Nel capitolo precedente Marco aveva narrato di come Gesù, a Cesarea di Filippo, aveva posta la domanda sulla sua identità, domanda a cui, sin dall’inizio dell’Evangelo, tanti avevano posto mano: la gente nella Sinagoga di Cafaranao (cfr. 1,27), i discepoli alla fine della burrasca sul lago (cfr. 4,41), i nazaretani che non riescono a superare lo scandalo dell’identità ordinaria di Gesù (6,3), lo stesso Erode Antipa e la sua corte si fanno domande su Gesù (cfr. 6,14-16) e, al capitolo ottavo, proprio al centro dell’Evangelo di Marco, è lo stesso Gesù che pone la domanda su di sé: «Chi dice la gente che io sia?» e «E voi chi dite che io sia?» (8,27.29). A Cesarea di Filippo Pietro darà una risposta che, in Marco è molto secca ed anche ambigua: «Tu sei il Cristo!». È una verità, ma ambigua: cosa pensa Pietro sia il Cristo? Che significa? Gesù indirizzerà la risposta giusta di Pietro verso quell’orizzonte inaudito della Passione, orizzonte verso cui ormai è incamminato, e annunzia il suo patire, la via di rifiuto, la scelta di essere “pietra scartata” …

Cosa avviene sul Tabor? È facile dire che è semplicemente una scena di gloria, una scena di luce che, in qualche modo, dovrebbe aiutare i discepoli a sostenere l’imminente scandalo della croce; mi pare, invece, di dover ravvisare come cuore della scena del Tabor le parole del Padre: parole rivolte ai tre discepoli testimoni dell’evento: «Questi è il Figlio mio, l’Amato, ascoltate Lui!». I tre sentono questa voce in una “nube oscura”; è una parola che certo è una risposta a quella ricorrente domanda su Gesù: è il Figlio amato, ma c’è anche una richiesta grave: «Ascoltate Lui!». Perché una richiesta “grave”? Perché si tratta di “ascoltare” quella parola scandalosa di Gesù sulla Passione, si tratta di prendere sul serio quella parola che Gesù sta ripetendo per rivelare davvero quale via Dio abbia imboccato per raccontarsi e per salvare gli uomini dagli abissi dei suoi mali: non la via di rimanere fuori e lanciare da fuori delle funi a cui aggrapparsi per venir fuori dalla morte, dal dolore, dal non -senso, dalle domande senza risposta; la via che Dio ha scelto è quella di immergersi   davvero e fino in fondo nei dolori insensati del mondo, nelle sue iniquità e ingiustizie!

Devono ascoltare quella parola spiazzante e scandalosa di Gesù per cui il Figlio dell’uomo è necessario che «soffra molto, sia riprovato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, sia ucciso…» (cfr. Mc 8,31). Ecco cosa devono ascoltare! Ecco la parola da cui devono lasciarsi plasmare, una parola che è sintesi straordinaria di tutto quello che Gesù ha fatto e ha detto, di tutto l’Evangelo a cui bisogna credere e a cui convertire la propria vita (cfr. Mc 1,15). D’altro canto Marco ha posto sulle labbra del Padre una parola che irresistibilmente ci porta nella pagina della Genesi che in questa domenica è la Prima lettura: «Prendi il tuo figlio, l’amato… e conducilo sul monte…». Il Figlio, l’Amato, è condotto sul monte a Gerusalemme, come Isacco, e lì però accade qualcosa di diverso da ciò che avvenne ad Abramo e al suo figlio amato sul Monte Moira: a Gerusalemme (che la tradizione ebraica identificava col Moira), sul Golgotha, l’immolazione avvenne davvero; Paolo l’ha proclamato con limpida e sconcertante chiarezza: «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi».

Ecco allora la parola che si deve ascoltare da parte del Figlio Amato; l’antico Sh’mà, comandamento primordiale e fondante di Israele che chiede l’ascolto, qui è trasformato dal Padre in un ascolto puntato tutto su Gesù: «Ascoltate Lui!».  È come se dicesse: «Ascoltate Lui che vi parla di questo amore che perde se stesso». La Trasfigurazione, allora, mentre ci conduce nella luce di Dio, ci dice che la luce di Dio è sì luce trasfigurante, splendente, ma è luce che è tale perché è amore senza pentimenti, senza limiti, , senza remore, senza alcun timore di giungere all’estremo di dare la vita! È questa la luce della Trasfigurazione che la Quaresima ci consegna, è questa la trasfigurazione, la metamorfosi, per cui deve lottare il discepolo di Gesù: lasciarsi trasfigurare in Gesù, il Figlio Amato che dona la vita amando fino all’estremo!

L’Evangelo di questa domenica, seconda tappa della Quaresima, termina con i discepoli che, scendendo dal monte della Trasfigurazione, si fanno una domanda: «che significa risuscitare dai morti?». Non possono ancora capire nello scendere dal Tabor, capiranno dopo: risuscitare dai morti significa aver dato la vita; solo chi fa della sua vita un dono ha la vera vita, una vita che la morte non può tenere con le sue catene, Gesù è risorto perché ha amato dando se stesso con amore ostinato. Non per altro! La Quaresima possiamo viverla così: ascoltando e facendo domande! Domande che non devono attendersi risposte scontate e banalmente “religiose”, ma risposte che ci capovolgano e compromettano! Nell’imboccare queste vie scomode e costose possiamo essere certi di ciò che Paolo ha scritto, sempre nel passo di oggi della sua Lettera ai cristiani di Roma: «Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?». Ascolto e domande nella più radicale fiducia in questo Dio affidabile!

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