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Commento al Vangelo di domenica 13 giugno. Si salva chi è “piccolo”

Commento al Vangelo di domenica 13 giugno - XI del tempo ordinario, anno B

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano Clicca per visitare il sito 

XI domenica del Tempo ordinario – anno B
Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

Parabole potentemente umili…come al solito è un paradosso ma funzionale a condurci nell’ “altrove” di Dio; con queste parabole, che sono nel quarto capitolo dell’Evangelo di Marco, Gesù vuole farci capire che le “cose” del Regno di Dio non funzionano con i meccanismi soliti, quelli del mondo, non funzionano con i tempi del mondo, con i suoi ritmi, con le sue proporzioni. Insomma, sbaglia molto chi, nelle “cose” di Dio, nelle “cose” del Regno, volesse applicare quei parametri mondani; chi lo facesse, alla fin fine non solo rimarrebbe deluso ma soprattutto rischierebbe di snaturare le opere dell’Evangelo, rischierebbe di far diventare le opere del il Regno, le opere della Comunità cristiana, opere meramente mondane, misurate con i criteri del numero, del successo, del marketing, della popolarità, della visibilità… opere misurate tremendamente come “eventi” (parola terribile e sviante del vuoto linguaggio dei media per cui ogni stupidaggine è “evento”!)…

La prima parabola, che riprende il linguaggio di Ezechiele dell’oracolo che è stato la prima lettura di questa domenica, ci dice che il Regno è “fuori” dalla nostra potenza e dal nostro protagonismo; i servi del Regno sono quelli che soprattutto sanno seminare il Regno nei solchi della storia e sanno vivere e mostrare la capacità dell’attesa.

In primo luogo devono seminare il Regno… non altro! A volte si corre il gran rischio, come Comunità cristiana, di seminare altre cose, altri “semi”, altre attese; si rischia (o peggio si sceglie deliberatamente!) di mettersi al servizio di ciò che è gradito al mondo, di ciò che serve alla propria visibilità, al proprio prestigio; si seminano parole banali e “religiose” dette per dovere e per… “mestiere”; si seminano catechesi a cuori non evangelizzati  e riti ad assemblee che hanno perduto –o mai avuto! – il “brivido” della risurrezione e la passione per l’Evangelo. Questi sono semi infecondi perché non sono semi del Regno; i veri semi del Regno hanno una potenza che non dipende più dal seminatore, hanno il potere di germinare, a loro tempo, con fioriture inaspettate e di bellezza imprevedibile.

Non può, a tal proposito, non venirci in mente la vicenda di Fratel Charles De Foucauld che tra qualche mese finalmente potremo chiamare San Charles: la sua intuizione, tutta evangelica, lo vide morire da solo, senza nessun seguace, senza nessuno che allora avesse il coraggio di condividere il suo ideale; Fratel Charles, però, aveva seminato nei solchi della storia il suo sì, la sua obbedienza, la sua sottomissione…tutti veri semi del Regno… dopo decenni dalla sua morte (che era apparsa allora come la fine di un eroico “sognatore” dell’impossibile…) la sua esperienza è fiorita in migliaia di vocazioni di uomini e donne che hanno raccolto quel suo sì; Fratel Cahrles aveva seminato il Regno, non “altro”, non se stesso… «Dorma o vegli…». È così!

La Parola dell’Evangelo oggi ci chiede di aver fiducia nel Regno, nelle sue vie e sono le vie del Regno che bisogna lanciare nei solchi della storia; d’altro canto il Regno è Gesù. Lui è il «chicco di grano che caduto in terra muore e produce frutto» (Gv 12 24).

L’altra parabola è quella del seme di senape e della sua piccolezza: il Regno è così! Dovremmo lasciarci istruire e toccare nel profondo da questa parola di Gesù per abbandonare ogni pretesa di grandezza, di visibilità a tutti i costi, ogni pretesa di “contare” per il mondo, di avere appariscenza, ogni pretesa di agire nella storia grazie alla potenza dei mezzi e delle strutture!

La parola sul granellino di senape è parola di rivelazione: ci dice cosa è davvero il Regno e con quali parametri deve misurarsi chi vuole essere del Regno! È veramente necessario che ci convinciamo di questa piccolezza, di essere «piccolo gregge» (Lc 12,32). È una piccolezza che genera Grazia; è una piccolezza che diviene rifugio dei deboli, è una piccolezza che offre “casa” (gli uccelli fanno il nido), è una piccolezza che accoglie! Sì, perché solo la piccolezza sa accogliere davvero; la grandezza, abbagliata da se stessa, spesso ne è incapace ed alza muri di indifferenza e di sospetto, non ha rami capaci di aprirsi a farsi “nido” per chi nido non ha!

Il tempo della pandemia ci ha messi dinanzi alla riduzione della Chiesa! La pandemia ha accelerato un processo che oramai era in corso: la riduzione della Chiesa! Penso sinceramente che questa sia una grazia! Non perché non vogliamo che tutti gli uomini siano salvi (cf. 1Tim 2,4), per la carità! Credo che la riduzione sia una grazia perché ci darà la misura della impellenza della necessità di ricominciare, di riprendere sinceramente dall’essenziale: l’evangelizzazione (cf. Mc 16,15) e l’amore fraterno, l’amore nella Chiesa (cf. Gv 13,34-35)! Più saremo piccoli come il seme di senape e più avremo la possibilità straordinaria di non cadere nell’inganno della mondanità e di diventare davvero capaci di essere accoglienza per quanti cercano senso!

Il Regno di Dio viene ogni qual volta la piccolezza si fa accoglienza di Dio e dei suoi progetti e si fa accoglienza dell’altro e del suo bisogno! Ogni qual volta la piccolezza dei mezzi e delle apparenze non è vista con disprezzo dai credenti, ogni qual volta dinanzi alla piccolezza del “visibile” ci si ricorda che Colui che chiamiamo Signore è nato tra l’indifferenza dei grandi e dei potenti ed è morto disprezzato e “maledetto” (cf. Gal 3,13), condannato da grandi e potenti.

Per il mondo tutto questo è stoltezza (cf. 1Cor 1,22-25), è piccolezza ed insignificanza, ma gli occhi di Dio guardano in modo del tutto diverso e, dove c’è piccolezza, vedono grandezza e dove c’è pretesa grandezza e arroganza, vedono miseria!

La domanda da farsi con sincerità è dunque: “Da chi vogliamo essere guardati? Sotto quale sguardo vogliamo camminare?”

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