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Il patrimonio delle tradizioni popolari a Piedimonte Matese negli studi di Luigi Lombardi Satriani

In un libro, tra le tradizioni popolari italiane, non mancano quelle di Piedimonte Matese, alcune ancora praticate, altre vive soltanto nella memoria più antica

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Matese tra moderno e contemporaneo

Foto di repertorio, la processione di San Marcellino 

di Armando Pepe

L’antropologia culturale
Lo studio delle tradizioni popolari in Italia è stato magistralmente condotto da illustri antropologi, tra cui Ernesto De Martino, indagatore della cultura e religiosità ancestrali nelle impervie zone del profondo sud, ed Alberto Mario Cirese, studioso delle culture egemoniche e di quelle subalterne, senza voler dimenticare molti altri di grande valore e spessore.

Luigi Lombardi Satriani, nato a Briatico, in provincia di Vibo Valentia nel 1936, si è distinto per aver esplorato a fondo e sistematicamente il tesoro sepolto del Meridione, ovvero quell’eredità immateriale che poggia, ed ha il proprio sostrato, sulla vita vissuta dal popolo nel corso dei secoli, perché ogni paese è portatore di un folklore immanente; si prenda ad esempio la “Processione dei Misteri”, frutto dell’ingegno di Paolo Saverio Di Zinno, che ogni anno si tiene a Campobasso nel giorno del Corpus Domini, paradigma identitario regionale, un evento di eccezionale richiamo da tutto il Molise.
Anche Piedimonte ha proprie usanze, che studiosi come Luigi Lombardi Satriani hanno raccolto, interpretato e diffuso nei circuiti scientifici internazionali. Nel libro “Santi, Streghe & Diavoli”, edito da Sansoni Editori nel 1971, c’è un capitolo dedicato alle nostre zone, da cui sono presi i brani che seguono:

Tradizioni attuali e/o scomparse
«A Piedimonte  il 2 giugno si festeggia San Marcellino, e quando la statua compare sul sagrato, il popolo l’osserva con grande attenzione perché “se San Marcellino è lustro, l’anno sarà buono per tutti”, mentre invece “se San Marcellino è scuro, l’annata sarà brutta”. Questo fatto si spiega con i riflessi prodotti dalla luminosità più o meno intensa del giorno. Dopo la processione, quando San Marcellino rientra in chiesa, le statue degli altri santi, che hanno preso parte al corteo, sono schierate su due file; il patrono, passando, riceve l’inchino da ognuna di esse. Questo atto caratteristico della processione si chiama “riverenza”» (p. 183).

«Di feste pagane vere è proprie oggi non v’è che quella di carnevale ma con caratteristiche completamente diverse dal passato; non si fanno più carri allegorici e rari sono i cortei. Un tempo si sentiva cantare per la “giara” di San Giovanni (in Piedimonte) il ritornello “Apparicchiammu conche i po[i] canestre, /avannu [quest’anno] le vulimmu maritane./Oggi è San Giuvannu o la lavanna [lavanda]./La festa ca faciummu la cantammu”. Le ragazze del paese, cantando, lasciavano cadere in una brocca d’acqua un oggetto d’oro (anello, orecchino o altro) e pronosticavano il matrimonio. Se il pronostico riguardava il matrimonio di una ragazza con un contadino, cantavano “Lassatelo passà stu zappatore, /che tanto ci va appriessu sta figliola” e si estraeva dal recipiente uno degli oggetti; la proprietaria, secondo il responso, avrebbe sposato appunto un contadino. Se invece il pronostico si faceva per il matrimonio tra una ragazza e un ricco, esse in coro cantavano “Ra Napoli so venute cose belle,/ le carte ncarticciate [incartocciate] cu l’anelle”. L’oggetto estratto stava a significare che la ragazza, alla quale [il medesimo oggetto] apparteneva, avrebbe sposato un benestante. Infine, la giovane che per ultima riaveva il suo oggetto, riceveva anche la “giara” con l’acqua. Una volta in possesso del recipiente, la ragazza si appartava in attesa che passasse un giovane, a lei simpatico, per versargli sulle scarpe l’acqua e dichiarargli, in tal modo, il suo amore» (pp. 183-184).

«Dai borghi di Caserta ai centri del Matese non meno diffusa fu la credenza nelle streghe (janare) o nei maghi (maoni). […] Gli innumerevoli episodi che abbiamo sentito raccontare lasciano perplessi. […] L’opera di questi esseri demoniaci , però, non è rivolta solo al male altrui; essi, con la conoscenza di polverine ed erbe, sono in grado di guarire le persone colpite da mali di cui non si conosce la natura, di ridare l’integrità fisica ai bambini che altre janare, magari per antipatia, hanno sturzellatu (storpiato)» (p.184).

«Il termine dialettale “cuonzolo” sintetizza l’usanza di “consolare” una famiglia colpita dal lutto, alla quale parenti o amici portano da mangiare in un cesto, per un periodo che va dai tre agli otto giorni dopo i funerali» (p. 184).

Fonte bibliografica
Luigi Lombardi Satriani (a cura di), Santi Streghe &Diavoli. Il patrimonio delle tradizioni popolari nella società meridionale e in Sardegna, Sansoni Editore, Firenze 1971.

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