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Giornata della Memoria, e il rischio di perderla. Carmine Mastroianni autore de “Il fabbricatore di ali”

La storia di Antonio Morelli di Alvignano prigioniero in quattro campi di lavoro è il motivo per riflettere sulle reazioni degli italiani oggi al dramma della Shoah e dei campi di concentramento

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“Antonio Morelli non era ebreo, non era rom, non era anarchico, non era omosessuale. Non è che forse sia stato un simpatizzante fascista? Eppure anche a lui toccò l’esperienza del campo di concentramento dopo una condanna militare; non uno, ma quattro campi di lavoro nel curriculum di quest’uomo: Dachau, Mauthausen, Vienna e Steyr”. Parla Carmine Mastroianni, autore del libro Il fabbricatore di ali edito nel 2015 da Efesto. Le sue parole in questa Giornata della Memoria non sono soltanto cronaca di un passato, ma amara riflessione sul male “che può capitare a chiunque ed ancora oggi (…) perchè a parte i nostri genitori, non c’è generazione andando a ritroso nel tempo che non abbia conosciuto la guerra”. Ecco perché tramandare la memoria dei fatti, ecco perché Carmine ad ogni ‘chiamata’ corre lì dove ci sono persone interessate a conoscere la storia da lui narrata, sforzandosi lui – da storico – di andare oltre le emozioni del libro. Originario di Alvignano, docente di materie letterarie in un Liceo di Velletri oltre che autore di numerosi libri su storia e personaggi storici, dalla pubblicazione del libro ad oggi conta di aver incontrato almeno 6mila studenti in tutta Italia, “tanti, ma non abbastanza; e centinaia di adulti purtroppo non tutti motivati”. Da chi come lui sta dall’altra parte a scorgere i volti e le reazioni, ad accogliere le domande di senso e la voglia di capirci meglio, oggi 27 gennaio 2024 giunge anche l’amara riflessione “che c’è troppa indifferenza sulla tragedia dell’olocausto (…) alimentata da una pacata normalizzazione dei fatti di dolore e di guerra che continuano ad accadere” che addirittura definisce “imbarazzante”, non senza un richiamo severo al mondo dell’informazione e alla scelta unidirezionale di raccontare solo morte, distruzione, conflitti: “un lento processo di formazione di menti e coscienze senza altra narrazione di bene, di pace, di socialità dal mondo”.

Carmine oggi appartiene alla schiera che potremmo definire “dei nuovi testimoni”, coloro che hanno raccolto la voce dei protagonisti delle stragi naziste e che lentamente stanno scomparendo in un precedente articolo di Clarus definiti “staffette” con la responsabilità di correre in avanti, anticipando la Storia per farsi voce al posto di chi non c’è più.

Entrambi di Alvignano, Morelli e Mastroianni, centenario il primo e giovanissimo il secondo si incontrano e si conoscono dandosi rispettivamente fiducia, “era quello il presupposto per poter raccogliere il suo racconto dopo decenni di silenzio”. Inizialmente l’autore del libro appunta in sequenza i lucidi ricordi di Antonio che la centenaria età non annebbia affatto; poi il viaggio di Mastroianni sui luoghi del racconto; segue la comparsa di un taccuino scritto dal protagonista durante la prigionia; ultima fase del lavoro corrisponde alla necessità di ridare ordine all’intera narrazione ma soprattutto all’atteggiamento di Antonio rispetto ai fatti accaduti. Un lavoro che va avanti per due anni prima di mandare il libro in stampa. “Anche Antonio, come tutti gli altri, per anni non ne ha parlato, per rimuovere o cristallizzare… tanto che i familiari pur conoscendo la sua storia hanno scoperto numerosi dettagli attraverso le pagine del libro. Il suo era come un enorme puzzle smontato, a volte riferito come da un osservatore alla finestra, altre volte come un racconto onirico in cui veniva fuori il dolore, il giudizio per il nemico e singolari dettagli”. Oggi l’analisi che facciamo con Mastroianni si inserisce nel solco di quelle che provano a smontare il mito dell’eroe di guerra perché di fatto non parliamo di eroi che scelgono il sacrificio “ma di uomini e donne finiti nel tritacarne della storia, e tutti – fatte le dovute eccezioni – con il solo desiderio di salvare se stessi; e lo dimostra il racconto del signor Antonio Morelli che vede al centro della scena sempre e solo se stesso, la sua fame, la paura, il lavoro, i ripetuti escamotage per tenersi al riparo da punizioni o altri pericoli”. Nuda e cruda la Storia si presenta al mondo così, con le singole storie di volti e corpi scavati, provati, senza pietà per se stessi e per gli altri in una macabra pagina priva di amore, relazione, carità, ascolto del bisogno dell’altro; una pagina di disumanità che oggi – in Italia – sembra suscitare più commiserazione che non la radicale presa di posizione da un punto di vista politico e collettivo: questo va raccontato ancora come possibile scenario. “Non aver avuto un processo di Norimberga italiano, quindi la condanna sociale e politica di certi crimini ha fatto sì che con troppa facilità esponenti del fascismo si reinventassero nella politica repubblicana e molti tra le file della Democrazia cristiana, e che oblìo e negazionismo spesso prevalessero, come ancora oggi accade”.  

Corriamo il rischio di appiattire le punte acuminate del male pur di non provarne il fastidioso dolore che ci costringerebbe alla soluzione del problema.

Leggi anche
1. La guerra, i campi di concentramento, il ritorno ad Alvignano.
2. Il Presidente Sergio Mattarella premia l’eroe alvignanese Antonio Morelli.

In video la testimonianza di Antonio Morelli raccolta da Clarus

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