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Commento al Vangelo domenica 17 novembre. Spetta al cristiano cogliere nell’oggi i “segni” del Figlio dell’uomo

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di Padre Gianpiero Tavolato
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XXXIII domenica del Tempo Ordinario – Anno B
Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32

Spranger Bartholomeus: “Giudizio universale” (1570-1571) – Galleria Sabauda – Torino

È sempre forte, anche per i credenti, il rischio di restare imprigionati nelle reti del proprio oggi, cercando di trovare in esso il senso ultimo del proprio vivere e pretendendo che in esso possa esaurirsi la fame di infinito che abita il cuore dell’uomo. Eppure, per quanto l’oggi possa rispondere all’umano desiderio di vita – dal momento che l’oggi è tutto ciò di cui disponiamo effettivamente nella linea del tempo ed è in esso che propriamente gli uomini vivono –, esso non esaurisce la vita e mai può saziare completamente la fame dell’uomo. Tanti, anche tra i cristiani, si saziano (o, meglio, si illudono di saziarsi) di quel che sono, di quel che hanno, di quel che vedono, pensando che l’orizzonte sia solo quello che si vede: solo ciò che è sotto i propri occhi, così incapaci di desiderare altro e oltre.

Eppure, ogni volta che la comunità cristiana si riunisce per celebrare la memoria della Pasqua nell’Eucaristia, essa fa risuonare un’invocazione che apre l’oggi al di là di sé: «Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo» … un’invocazione che richiama ogni generazione alla necessità di fare i conti con il limite del tempo e con la venuta del Signore Gesù nella sua parusìa, alla fine dei tempi. Ogni generazione deve vivere questa tensione verso il ritorno del Signore e deve riconoscere nel proprio tempo i segni che la annunziano; ogni generazione deve ravvisare nel suo tempo quei limiti che domandano l’unico compimento che è pienezza di ogni compimento: il Suo ritorno! Per ridestare l’attenzione dei suoi ascoltatori all’oltre della storia, Gesù attinge al linguaggio apocalittico del suo tempo: si tratta di un linguaggio attento a cogliere la crisi del tempo presente e a cogliere come segni proprio quei limiti, quei dolori, quelle “potenze” che sovrastano l’uomo e le sue pretese di raggiunto benessere.

Dopo aver parlato di guerre, carestie, terremoti, persecuzioni, tempi oscuri e disperati, Gesù si riferisce ad altri segni che mostrano la caducità anche di quelle cose che all’uomo paiono fisse ed immutabili: il sole, la luna e gli astri, che per gli antichi erano fissi nella gran volta del cielo… eppure il sole si spegne, la luna non dà più il suo chiarore e gli astri cadono. Tutto questo accade non come punizione per le dissolutezze e i peccati dell’uomo: la fine del mondo non è un castigo… essa è il fine del mondo e, come tale, appartiene al progetto di Dio ed è dunque determinata unicamente dalla volontà di Dio. Se le potenze (dynámeis) dei cieli cadono, è perché il Figlio dell’uomo deve venire con potenza (metà dynámeos), con la sola potenza che è stabile e fissa: la potenza di Dio.

Gesù, il Figlio dell’uomo, è colui che sta andando verso la croce, autorivelandosi come colui che ancora verrà a dire l’ultima parola di Dio sulla storia, sugli uomini! È necessario, dunque, imparare a leggere i segni che la storia offre per capire che non tutto è in essa e per essa! Ma in questa delicata opera di lettura dei segni, i discepoli sono invitati a non tentare di decifrare un tempo e un’ora precisi: d’altro canto, lo stesso Gesù si mostra ignaro dei tempi. Egli non dà indicazioni di tempo, ma consegna ai suoi delle parole con cui li rassicura circa la certezza della sua parusía, del suo ritorno glorioso. Anche se non se ne conosce il “quando”, quel giorno – il giorno del Signore – verrà: il “quando” – essendo custodito nel cuore del Padre – è promessa certa che sarà rivelata al tempo opportuno.

Nel frattempo, ai credenti è chiesto di impostare i propri giorni con una tensione autentica verso l’oltre: è necessario vivere il tempo in pienezza, ma senza chiudersi negli orizzonti del tempo… è qui, in questo oggi, che l’uomo deve sentire il “profumo” dell’oltre, dell’eterno: un profumo che non lo sgancia dalla storia e dalle lotte della storia e nella storia, ma che gli fa vivere la storia senza sconti, con lo sguardo capace di scrutare – proprio nella storia – i segni dell’approssimarsi del giorno di Dio.

 

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