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Alife. La storia di San Sisto sulla porta alla Cappella “fuori le mura”

Sono otto le scene che narrano l'incontro tra San Sisto e la Città di Alife, opera dell'artista Giancarlo Offreda negli anni Novanta

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In prossimità della festa di San Sisto i, papa e martire, patrono di Alife e della Diocesi di Alife-Caiazzo, abbiamo riproposto una serie di articoli di carattere storico “sull’incontro” tra San Sisto e la città di Alife. Oggi, a chiusura di questo ciclo riproponiamo un articolo anch’esso apparso su Clarus nel 2016 in occasione del III centenario del ritrovamento delle reliquie del Santo.
Si tratta della descrizione della porta di bronzo della Cappella di San Sisto “fuori le mura”, lì dove secondo il racconto, la mula che trasportava le reliquie del Santo si fermò e furono momentaneamente deposti i resti mortali del suo corpo.
È il luogo dove il 10 agosto, ogni anno, giunge la processione dei fedeli partita dalla Cattedrale al termine della Messa, e lì si ferma per pregare e nuovamente venerare il busto del Patrono. 

Al visitatore distratto non appare altro che una porta di bronzo, come del resto compaiono all’ingresso di numerose chiese, ma come per ognuna, quelle formelle custodiscono una storia precisa, di un luogo, di una comunità che in memoria di un evento particolarmente significativo decide di riscriverla attraverso l’arte, affinché resti in eterno.
La Cappella di San Sisto fuori le mura si inserisce in questo processo di ritorno di storia e di fede attraverso la sua porta di ingresso, nel luogo in cui sostarono le reliquie di San Sisto I, giunte da Roma, in attesa di fare ingresso solenne in Cattedrale qualche tempo dopo.

Il progetto risale al 1990 quando l’allora parroco don Pasquale Bisceglia e il sacerdote don Enrico Piccioni ne discutono con l’artista alifano Giancarlo Offreda, allievo del noto Augusto Perez all’Accademia delle Belle Arti a Napoli. Solo nel 1992 il compimento definitivo dell’opera costato 6 mesi di lavoro ininterrotto per Offreda: dalle bozze, alle sculture in creta, per poi passare a seguire personalmente il lavoro presso la nota fonderia Marinelli di Agnone, e la progettazione del telaio in acciaio e ottone affidata alla bottega del fabbro locale Lucio Rapa.
8 pannelli raffiguranti la storia di San Sisto e del suo legame con Alife a partire dall’epidemia di peste che colpì la città costringendo il conte Rainulfo Drengot a chiedere il corpo di una “gran santo” al papa Anacleto, direttamente a Roma.
Un tratto umile, pacato, “facile da leggere”, spiega l’artista Offreda, il quale scostandosi momentaneamente dal suo tratto artistico essenziale e veloce, fatto di segni poco dettagliati, sceglie di raccontare una storia di fede e di devozione “per permettere agli alifani di ritrovarsi, senza difficoltà di interpretazioni, nelle scene narrate”.
Non sono banali, ma reali; non sono scontate, ma sempre a rivelare un dettaglio nuovo, fino ad ora sfuggito; non sono scene anonime ma perfettamente riconducibili alla città di Alife grazie ai riferimenti geografici e urbanistici che compaiono in tutte e 8 le forme: “Sono la storia della nostra gente, e del nostro Patrono; sono memoria di un triste momento di dolore e di gioia successiva. Facendomi interprete di questo sentimento comune ne sono venute fuori immagini di fronte alla quali è facile raccogliersi in preghiera”; di fatto è discreta e pacata la mano dell’artista, non invade la scena ma si fa invadere, si fa penetrare dallo sguardo alla ricerca di quel particolare che mai manca, come l’espressione dei volti, la ricerca storica dei costumi (si noti la differenza tra le scene storiche del 1100 e quelle del 1700 ai tempi della ricognizione del corpo del Santo), di un movimento che suscita ancora oggi dolore, timore, attesa, speranza, festa.

L’indagine di Giancarlo Offreda, nella fase di studio storico locale va oltre i confini della città, fin nei costumi e nella tradizione normanna che al tempo di Rainulfo coinvolge politicamente queste terre e l’intero Mezzogiorno, con particolare attenzione all’arte racchiusa nel prezioso scrigno che è il duomo di Monreale.
Oggi Offreda, che insegna educazione artistica, guarda con una rinnovata maturità artistica quell’opera “che sempre emoziona come fosse la prima volta a vederla”, e la definisce ancora perfettibile, ancora da migliorare per meglio raccontare “il legame di fede che ci unisce a San Sisto”. Ma questo, lo scriviamo sottovoce, perché non appartiene altro che all’incontentabilità di ogni artista.

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