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L’acropoli e la cittadella

Murazioni sannitiche d’altura, borghi castramentati e castelli normanni intorno alla pianura alifana

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Monte Cila
Il Monte Cila. Foto da Alliphae.org

I “ciclopi” del Cila
Da tempi remoti, i monti che delimitano la nostra pianura costituirono per i Sanniti i siti abitativi preferenziali difesi naturalmente dalla severa accidentalità del territorio e dalle fortificazioni d’altura poste a controllo degli aspri sentieri delle greggi ai lati del monte Cila che risalivano verso l’altopiano del Matese, dove erano le distese dei temperati pascoli estivi. Furono i pastori-guerrieri della tribù sannitica degli Allibanos (gli Alifani) che possedettero questo territorio a realizzare, circa 600 anni prima di Cristo, le potenti murazioni.
Con massi ciclopici, essi circoscrissero a diverse quote i versanti scoscesi del monte Cila, poi rinforzarono la posizione fortificando il vicino terrazzamento strapiombato dove siede oggi Castello Matese. Infine, fortificarono anche la collina di monte Castello tra Sant’Angelo d’Alife e Raviscanina. La potente fortificazione cilana garantiva la sicurezza a quella parte dei componenti la tribù alifana che viveva e praticava la sua attività di sostentamento lungo la fascia sub-montana, presidiando il passo, la sorgente e l’area sacralizzata della ocar (in osco) – l’acropoli del Cila. La murazione del Cila costituiva il maggior sito difensivo della touta (territorio) alifana e difese la popolazione sannitica di quest’area nelle guerre contro Roma.
I circuiti murari recingevano anche l’area apicale isolando le aree sottostanti realizzate per la concentrazione degli armenti in casi di necessità. L’area apicale presidiata da armati era consacrata ai numi tutelari della tribù e a quelli dei sacri confini territoriali. In essa erano gli edifici di culto, dove i sacerdoti traevano i presagi scrutando il volo degli uccelli o osservando le pulsazioni del fegato dei bovini sacrificati.

La conquista romana e l’arrivo dei Normanni
Con la conquista romana del territorio, questi siti fortificati d’altura furono abbandonati dai Sanniti, costretti a popolare provvisoriamente la fascia pianora sub-montana del versante, fino a quando poi nell’80-79 a. C. fu realizzata la fortezza castramentata romana di Allifae, l’Alife odierna, che ospitò i veterani di Silla e in seguito, nel 42 a. C. una colonia di veterani dei Triumviri. AlifeGli aspri ma sicuri  siti fortificati d’altura tornarono a difendere nel Medioevo la popolazione della pianura minacciata dalle barbarie e specialmente in età Longobarda allorché, alla metà del IX secolo, il sud dell’Italia cominciò ad essere sottoposto alle scorrerie dei feroci mercenari saraceni d’Africa e di Spagna a causa di dissidi tra principi longobardi.
Le vecchie città romane di pianura, Capua, Alife e Salerno  dove vennero organizzate le “vigiliae noctis” – le veglie notturne sulle mura di preti e cittadini – in assenza di soldati, si spopolarono e dal tempo dei Sanniti si rinnovò la fuga verso i monti. Nuovi agglomerati abitativi circondati da muraglie difensive (i Castra) sorsero ex novo un po’ ovunque sui colli da cui era possibile lungo i crinali dileguarsi sui versanti montuosi retrostanti. Alte torri di avvistamento o campanili di chiese e conventi, all’interno delle murazioni, controllavano le minacce di temute escursioni e assalti. Con l’arrivo dei Normanni, poi, si procedette a consolidare l’“incastellamento” dei territori di conquista; la valle alifana e quella telesina vennero incastellate dopo il 1062.
Sui vecchi siti d’altura sannitici, sulle acropoli, negli antichissimi recinti della monticazione, circoscritti da terrazzamenti murati, nacquero borgate fortificate da nuove mura con torri per il controllo del territorio; chiese e campanili cristiani furono innalzati nelle aree consacrate alle divinità pagane, mentre nell’area pianora su un angolo della fortezza romana di Alife venne impiantato, intorno al 1065, il Castello Normanno dei Drengot con forma a “cittadella”, con pianta quadrata e con torri circolari poste ai quattro angoli e mastio. 

L’incastellamento territoriale
Ricorrente, quindi, è la Castello del Mateseconsuetudine dell’utilizzo nell’area apicale di impianti d’altura sannitici, le acropoli, in origine circoscritte da doppie murazioni parallele che la separano dalle aree a quota inferiore. Nell’ocar si impianta sempre una torre o il mastio in genere a pianta quadrata con funzione difensiva, di avvistamento, o come dimora signorile divisa verticalmente in piani con cisterna di acqua interrata nel calpestio del piano terra.
Intorno sono altri edifici (per il corpo di guardia, per il personale) e gli edifici di culto. Tutt’intorno l’area molto più vasta che in età sannitica poteva essere riservata al concentramento, stallo o monticazione degli armenti, al concentramento della popolazione inerme (in caso di guerre) e sito di residenza saltuaria o fissa. Dall’età alto-medievale diviene borgata della popolazione protetta intorno da mura munite di torri quadrate o rotonde, porte di accesso e postierle comunicanti con la soprastante area apicale, estremo rifugio in caso di assedio.
Così l’incastellamento territoriale viene a comporre una fitta rete di castelli, borghi castramentati, fortezze, torri di avvistamento di sovente dislocate lungo le antiche vie romane dove sono utilizzati per l’avvistamento gli alti mausolei romani in abbandono che prendono il nome di “Torre”. Come il “Torrione” ad ovest di Alife, sulla via Latina e il mausoleo di Porta Napoli  chiamato la “Torre di S. Giovanni” allorché presidia con armati il ponte davanti la città romana.

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