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Dall’Ucraina a Piedimonte Matese. La storia di Natalya e il suo sogno di pace per l’Europa

Nella concitazione diplomatica e militare che coinvolge il cuore dell'Europa a causa dell'avanzata russa verso l'Ucraina, abbiamo chiesto a Natalya, residente a Piedimonte Matese dal 2001 un racconto sul suo paese e sul sogno di libertà cresciuto prima e dopo la fine del regime sovietico: “Grazie a Dio e grazie all’Italia, la mia famiglia sta bene e vive serena. Sono grata al vostro Paese e alla gentilezza del popolo italiano”.

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“L’Ucraina sogna la pace, vuole la pace… Non esiste divisione tra il popolo; non esiste est ed ovest. Ognuno sogna di stare bene con la propria famiglia e di difendere il proprio Paese”. Sono le parole di Natalya Pituley che abbiamo raggiunto al telefono in un momento della sua pausa dal lavoro. Vive a Piedimonte Matese dal 2001 e come tante donne venute dall’Est Europa assiste persone anziane con qualche esperienza di collaboratrice domestica.

Natalya da giovane; dietro di lei il fidanzato, attuale marito, tornato a vivere in Ucraina dopo un periodo di lavoro a Salerno

Classe 1959; dal suo paese d’origine ha portato con sé due lauree, una in ingegneria energetica e una in psicologia (“Sotto il governo russo abbiamo studiato gratis, un gran vantaggio; senza sapere che presto avremmo pagato caramente quel dispendio di risorse pubbliche”), ma anche la fierezza di appartenere ad un popolo antico, con solide tradizioni di fede, con grandi sogni di futuro che lentamente ha provato a riscattare. Oggi su quei desideri cala un’ombra, la paura che la Russia si riprenda ciò che non è suo “indebolendo e fiaccando, come avviene da decenni, le popolazioni di confine al basso costo di facile vodka”. Nelle sue parole ci sono immagini e storie comuni poco note, o spesso raccontate solo sottovoce: “Sai…quando consumi alcol e droghe anche i tuoi sogni si fanno vaghi e il futuro ti interessa meno; e su chi perde ogni speranza è più facile operare un vero e proprio lavaggio di cervello, tentando di convincere che ci siano prospettive di vita migliori”. Lei descrive così quella fetta più fragile di popolo ucraino che vacilla tra le posizioni europeiste e filorusse su cui Putin fa leva per conquistare terreno verso l’Europa, rivendicando territori che il suo Paese ha perduto ingiustamente (secondo l’interpretazione della Storia che ne fa il presidente russo). Per Natalya, toccata ancora nella carne dai ricordi di un rigido e severo regime sovietico in cui è cresciuta, ha studiato e lavorato, la causa di ogni male è nella sola persona del capo “Despot” Putin.

Mentre parliamo con Natalya, tv e giornali confermano i segnali di disgelo tra Russia, Europa ed Usa, ma anche i dubbi che si tratti di un cambio di rotta: le diplomazie hanno lavorato incessantemente perché sia scongiurato ogni rischio di guerra, ma i più scettici non si fidano. In Natalya, che ricorda il suo passato sotto il regime sovietico, ritorna l’immagine dispotica di uomini politici che alternandosi hanno impoverito e ferito il suo popolo; quei dolori, che per lei sono lontani, ma che in queste settimane bussano alla porta della sua anima, la proiettano al di là del confine russo da dove raccoglie le storie di qualche amico o parente che denuncia  la dilagante e incontenibile povertà mentre la ricchezza del Paese si concentra nelle città di Mosca e San Pietroburgo: “parlare di questo mi fa male, mi agita… I nostri fratelli russi, come noi ucraini, sognano la pace ma sono privati di diritti fondamentali e talvolta anche di quello alla salute: le conseguenze sulla sfera psichica delle persona sta diventando pesante… E ancor di più in chi osserva la crescita di tutto l’apparato militare su cui si investono i proventi della vendita del gas all’Europa, a danno del progresso del Paese e dei cittadini”.

Si esprime senza vincoli Natalya perché il prezzo della sua libertà l’ha ormai scontato da ragazza “il mio è un Paese che è molto cresciuto pur tra le difficoltà di numerose crisi economiche e una corrotta politica filorussa, ma c’è in tutti noi, nella gente comune, il desiderio e il sogno di un Paese totalmente diverso e definitivamente libero”. L’Italia contribuisce ogni giorno a rafforzare in lei l’idea che un mondo diverso è possibile: “Grazie a Dio e grazie all’Italia, la mia famiglia sta bene e vive serena. Sono grata al vostro Paese e alla gentilezza del popolo italiano”.

Dalla sua voce traspare la fermezza che contraddistingue le donne dell’Est, che a testa alta, nel freddo del regime sovietico, non hanno mai smesso di credere che figli e i nipoti un giorno sarebbero cresciuti diversamente, nell’Ucraina libera e avanzata.

Natalya è nata e cresciuta nei pressi della città di Ivano-frankivs’k ai confini con la Germania: l’Europa per lei è un concetto familiare, un’esperienza che si concretizzava a pochi passi da casa sua mentre a lei e ai suoi cari, sotto quel regime che ancora oggi fa tanta paura, “non era consentito andare a messa, festeggiare il Natale… Pensa che i miei genitori non hanno potuto battezzarci. Noi siamo di cristiani di rito greco-ortodosso”. Lo dice con fierezza, per sottolineare una radice da cui, pur se lontana geograficamente, non si è mai staccata. “Resterò in Italia finchè avrò la forza di lavorare; poi tornerò nella mia terra dove sono i miei familiari e dove sono sepolti i miei genitori”.

Natalya raccoglie le preoccupazioni di tanti connazionali che oggi vivono nel nostro Paese e di tanti fratelli che lì attendono le mosse dei potenti: sulle loro storie marciano pesanti i passi dei colossi politici e commerciali di tutto il mondo senza chiedere ‘permesso’, senza chiedere scusa per la dignità ferita e sottratta. Nel cuore d’Europa continua ad accadere.

Il suo concitato racconto termina con un “grazie per avermi ascoltata”.

Natalya ho voluto che in questo racconto comparissero le foto della sua famiglia, della nipotina in particolare (in abito tradizionale ucraino): lì con loro vive il marito di Natalya tornato in Ucraina dopo un lungo periodi di lavoro in Italia

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