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Siccità: amare suggestioni passate e critiche prospettive future, ma la speranza è una goccia inaspettata

Al cinema dal 29 settembre, il film è stato presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia

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Noemi Riccitelli – Presentato fuori concorso durante l’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Siccità del regista Paolo Virzì, ideato insieme allo scrittore Paolo Giordano e sceneggiato per il grande schermo con Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, è al cinema dal 29 settembre.
Una visione forte, che può trasmettere angoscia, perché la realtà rappresentata è così drammaticamente contemporanea, ma anche uno sguardo su un’umanità eterogenea che ispira compassione e che ha bisogno di speranza.

A Roma non piove da tre anni: il Tevere è scomparso, l’acqua potabile disponibile è razionata e la popolazione si agita, assetata, stanca, debilitata anche da una misteriosa malattia che serpeggia in città.
In questo scenario drammatico, la vita fa il suo corso, intrecciando le storie di Antonio (Silvio Orlando), detenuto che ha ormai scontato la sua pena ma non sa più com’è vivere al di fuori del carcere, Loris (Valerio Mastandrea), ex autista parlamentare che cerca di reinventarsi come tassista, Sara (Claudia Pandolfi), medico in bilico tra la dura realtà lavorativa e il delicato ménage familiare con la figlia Martina (Emma Fasano) e il marito Luca (Vinicio Marchioni), Alfredo (Tommaso Ragno), attore decaduto tutto preso dal nuovo palcoscenico dei social e da sé stesso, ignorando la moglie Mila (Elena Lietti), che cerca un rapporto con il figlio Sebastiano (Emanuele Maria Di Stefano) e intrattiene una relazione telematica con un ex compagno di liceo.
E poi, Giulia (Sara Serraiocco) e il marito Valerio (Gabriel Montesi) che cercano riscatto, insieme a Raffaella (Emanuela Fanelli), ereditiera sottovalutata dalla famiglia, il signor Jacolucci (Max Tortora) finito in disgrazia, e ancora il professor Del Vecchio (Diego Ribon), diviso tra la morigeratezza che il suo ruolo gli impone e i piaceri, gli interessi che quello stesso ruolo gli offrono.

La scienza afferma che l’essere umano sia costituito da circa il 60% di acqua: se l’acqua è, dunque, parte vitale del nostro organismo, senza di essa l’uomo perde parte integrante di sé stesso.
Infatti, non a caso, in Siccità una moltitudine di anime si aggirano sfinite e depauperate, anelanti sentimenti, umanità.
Paolo Virzì e Paolo Giordano hanno scritto il soggetto del film nel corso della prima fase della pandemia di Covid-19, così, la loro ispirazione arriva diretta da quella surreale esperienza che ha coinvolto il mondo: si riconoscono, infatti, circostanze e sensazioni dolorose, momenti di tensione, insieme a condizioni anche grottesche e tragicomiche già vissute.
Tuttavia, se la suggestione del passato risulta evidente, il film diventa anche un sorprendente e quanto mai attuale monito riguardo la delicata crisi climatica che si è fatta evidente negli ultimi mesi, ma già in progressione da tempo.

Insieme allo scenario desolante e critico, ciò che colpisce lo spettatore sono senz’altro le linee intime, delicatissime che delineano le personalità dei protagonisti.
Ciascuno di essi è pensato con una fine attenzione introspettiva, così come le vicende che li coinvolgono: come nei migliori romanzi, le loro storie sono in grado di suscitare un turbinio di emozioni, sancendo un legame con chi osserva.
In ciò, si evidenzia la maestria degli sceneggiatori, lo stesso Virzì, Giordano, Archibugi e Piccoli avvezzi nel maneggiare, senza strafare, la materia umana.

Le interpretazioni del cast sono eccellenti: film come questo mostrano il talento unico degli attori italiani, per cui ogni singolo protagonista di Siccità è degno di nota.
A parere di chi scrive, emergono Silvio Orlando con una storia di profonda tenerezza e pietà, Valerio Mastandrea e Max Tortora, che si muovono tra ironia e crudezza.

Siccità è un’antologia umana che colpisce, forse quasi ferisce, per la schiettezza della sua rappresentazione, ma provvede anche a consolare e a suggerire con dolcezza l’antidoto allo smarrimento esistenziale in cui l’umanità si trova.
Che arriva, quasi sempre, inaspettato, come nel finale.

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