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The Old Oak: Ken Loach e quel “vizio della speranza” che proprio non vuole smettere

Dal 16 novembre al cinema quello che potrebbe essere l’ultimo film del regista britannico

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Noemi Riccitelli – Già presentato in anteprima nel corso dell’ultimo Festival del Cinema di Cannes, nel maggio scorso, The Old Oak, quello che è stato annunciato come l’ultimo film di Ken Loach, 87enne regista, sceneggiatore, con tanto di Leone d’oro alla Carriera nel ’94 e ben due Palme d’oro nel 2006 (Il vento che accarezza l’erba) e nel 2016 (Io, Daniel Blake), nonché attivista britannico, è al cinema dal 16 novembre con Lucky Red.
La pellicola è stata accolta con grande entusiasmo qui in Italia: in particolare, il regista si è recato personalmente a Roma per la promozione, dove ha preso parte ad una serie di interviste, eventi, proiezioni speciali organizzate proprio in occasione dell’uscita del film.
In questo speciale contesto, Loach non ha lesinato di esprimere quelle che da sempre sono le sue idee a proposito della società contemporanea, dei grandi temi dell’attualità, che poi sono anche il nucleo delle sue intense e bellissime pellicole.
Il suo, infatti, è cinema civile a tutto tondo, con una macchina da presa che si fa lente di ingrandimento sugli ultimi, indagine sociale viva che riesce a colpire lo spettatore coinvolgendone l’intima coscienza.

Politica, lavoro, vita vera, e con esse preoccupazioni, ansie, recriminazioni, diritti, e sì, anche speranza: perché Ken Loach, nella sua lunga e prolifica carriera, non ha soltanto ritratto i problemi dell’esistenza quotidiana di persone comuni, ma anche prospettato le più giuste e ragionevoli soluzioni a quegli stessi punti critici.
Così, ancora una volta, con The Old Oak, il regista sceglie di porsi lungo la linea della denuncia, sì, ma prospettando un felice epilogo.
Del resto, nette sono state le sue parole in una delle dichiarazioni rilasciate a Roma: “Solidarietà, forza, resistenza sono le parole del nostro tempo, ma ce ne sono anche altre che rievocano la vecchia tradizione sindacalista: aiutare, educare, organizzare, l’ultima è la più importante perché si può vincere solo se c’è coesione su un programma (…)”.

In una cittadina nel Nord dell’Inghilterra, un tempo fiorente centro di produzione mineraria, ora attraversata da un lungo e profondo declino, The Old Oak è l’ultimo pub rimasto del posto, unico luogo pubblico in cui la gente può incontrarsi e condividere le proprie vite.
Tuttavia, il proprietario, TJ Ballantyne (Dave Turner) riesce a mantenerlo a stento, e la situazione si fa ancora più precaria quando The Old Oak diventa una sorta di terra di mezzo con l’arrivo di un gruppo di rifugiati siriani in fuga dalla guerra, trasferiti in paese, la cui presenza genera malcontento tra gli abitanti.
TJ, infatti, si lega ad una giovane siriana, Yara (Ebla Mari), con la quale inizia a progettare, non senza difficoltà, un possibile ponte tra le due comunità.

Il primo film di Ken Loach in cui il tema del lavoro non è il centro del racconto (la sceneggiatura è di uno storico collaboratore del regista, Paul Laverty), ma rimane comunque sullo sfondo, bensì lo sono l’immigrazione, l’ostilità e il razzismo, questi ultimi sorti e comuni proprio tra i lavoratori autoctoni nei confronti degli ultimi arrivati.
Il regista ha dichiarato che lui e il suo team si sono ispirati a fatti realmente accaduti, risalenti al 2016 in particolare, anno in cui l’Europa tutta, compreso il Regno Unito, ha visto un numero crescente di profughi arrivare dai loro paesi d’origine devastati da conflitti.
The Old Oak è la volontà, da parte di Loach, di rappresentare il solo apparente e futile dissidio tra due categorie, due pezzi di umanità che cercano, in fondo, la stessa cosa: un futuro migliore, stabile, il sentirsi ascoltati, compresi, un senso di appartenenza. 
Il regista, infatti, ha sottolineato come gli operai, i minatori britannici siano sempre stati i gruppi di lavoratori più uniti e solidali, spiegando la profonda contraddizione nel loro atteggiamento di avversione verso gli immigrati, vittime anch’essi di un potere superiore scellerato e votato solo ai propri interessi.
Tuttavia, la crisi economica, l’abbandono da parte delle istituzioni hanno fatto sì che la naturale e originaria “fratellanza” si frantumasse, cedendo all’altrettanto istintiva rabbia e intolleranza, quando non accompagnata dal giusto supporto.

Ken Loach, tuttavia, immagina una possibilità positiva, una realtà delicata e sfaccettata, che ha bisogno di dialogo, di legami e di solidarietà: così, il suo racconto si fa umanissimo, toccante e sentito, grazie anche a volti genuini e “reali”, quelli di attori non professionisti (come spesso accade nelle pellicole del regista), che sono stati in prima linea attivisti nell’accoglienza di profughi.

The Old Oak è una visione necessaria, soprattutto in un tempo come quello in corso, in cui le divisioni tra popoli, la brutalità che l’uomo può esprimere e le assurde decisioni dei potenti sono più forti che mai, per comprendere che, come nelle parole di Loach, “un altro mondo è possibile”.

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