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Commento al Vangelo domenica 31 dicembre, festa della Santa Famiglia

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Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)
di Padre Fabrizio Cristarella Orestano

Santa Famiglia – Anno B
Gen 15,1-6;21, 1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17; Lc 2,22-40

Giorgione: “Sacra Famiglia Benson” (1500 circa). National Gallery, Washington

Arriva puntuale, tra il Natale e la Circoncisione di Gesù all’Ottava, la festa della Santa Famiglia. Nata per motivi “pastorali”, questa festa rischia di sviarci, con riflessioni moralistiche e “pratiche” (!), dalla contemplazione del Mistero dell’Incarnazione che a Natale abbiamo celebrato. D’altro canto, come già abbiamo avuto modo di dire negli scorsi anni, la possibilità di prendere ad esempio la Famiglia di Nazareth per le nostre famiglie lascia un pochino perplessi: c’è una madre vergine, un padre “putativo” ed un figlio che è Dio! Una realtà un tantino distante dalle nostre situazioni; quel che da Maria e Giuseppe dobbiamo cogliere perciò è di un respiro più ampio, tanto più ampio di quello delle varie e lodevoli “pastorali familiari”: nel loro “sì” al progetto di Dio c’è una via ecclesiale che riguarda tutti i credenti in Gesù, e non solo le famiglie.

I testi biblici di questa domenica ci danno l’agio di leggere con maggiore profondità il mistero dell’Incarnazione, e prendono le distanze da discorsi “familiaristici” che sono stati tanto “di moda” nella pastorale della Chiesa. La Scrittura oggi ci fa riflettere ancora una volta sul tema della fedeltà di Dio! La promessa fatta ad Abramo di essere benedizione per tutti i popoli si adempie in Gesù, il Figlio eterno venuto nella carne. È Gesù il primogenito che, come Isacco sul monte, è portato al Tempio per esservi offerto: Maria e Giuseppe, obbedienti alla Legge, senza sentirsene esentati per la straordinarietà della loro vicenda, entrano nelle vie ordinarie del loro popolo e portano il Bambino al luogo cuore della fede di Israele, al Tempio; e lì, al cuore di Israele, avviene un incontro: la Prima Alleanza incontra l’Alleanza Definitiva … le promesse incontrano l’adempimento, l’attesa diviene presenza!

Le braccia di Simeone, vecchio e colmo di attesa, sono le braccia della Prima Alleanza che riconosce il Messia grazie all’azione dello Spirito. Il Messia poteva entrare nel Tempio quel giorno, ed essere sfiorato e non riconosciuto persino da Simeone: quanti fedeli israeliti, in quel giorno, avevano visto un padre ed una madre ordinari con il loro bimbo qualunque! Eppure, Simeone, come poi Anna, ha la capacità di riconoscere Colui che attendeva. Il vecchio Simeone, qui si distanzia da ogni attesa banale e trita del Messia!
Come mai questo vecchio è capace di scavalcare le immagini di un Messia glorioso e potente, e fermarsi a contemplare un Bambino fragile ed ordinario? Luca ce ne dà una spiegazione; due sono i fattori che permettono a Simeone di fare questo “salto”: il primo è l’ attesa nutrita di assiduità con la Parola della Scrittura, nutrita di presenza alla presenza di Lui, di scelta di dimorare con Dio (la vecchia Anna – dice Luca – dimorava notte e giorno nel Tempio).

Queste cose, però, non sarebbero sufficienti se non fossero accompagnate dall’opera dello Spirito Santo che, come ha fecondato il grembo di Maria (cfr Lc 1,35) così ora rende fecondo Israele – rappresentato dai due vecchi – di fede, di capacità di riconoscimento e di capacità di profezia. Lo Spirito, che aveva preannunciato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia, rende il suo cuore, già vigilante nell’attesa, capace di riconoscere in quel Bambino portato al Tempio il Messia atteso; lo Spirito gli apre gli occhi ad un riconoscimento. Se ci pensiamo, l’Evangelo di Luca si concluderà ancora con un riconoscimento: sulla via di Emmaus, quei due uomini delusi incontrano un viandante ordinario come tanti, che cammina sulla loro stessa strada e, alla mensa di Emmaus, essi lo riconoscono e non possono che tornare indietro ad annunziarlo come compimento di tutte le speranze.

Il rischio diversamente è grande: sfiorare Gesù, e non lasciarsene sedurre, non lasciarsi interpellare da Lui. Il vecchio Simeone non solo lo riconosce, ma riconosce in Lui delle domande che pesano: quel Bambino chiede a chi lo incontra di schierarsi; quel Bambino è segno di contraddizione, impone di fare scelte di campo, e senza infingimenti. Il Natale vuole questa scelta … non si resta neutrali dinanzi al Natale. Chi resta neutrale, chi rimane come prima, non ha celebrato il Natale di Nostro Signore Gesù Cristo: ha fatto una festa suggestiva ed evocativa che si “gioca” attorno ad una nascita (per tanti un po’ mitica!), ed attorno ad un bambino … tutti segni di umane speranze e di tenerezze, ma il Natale non è questo, e non voleva questo! Natale vuole riproporre ai credenti una scelta di campo! Nel Natale, d’altro canto, Dio ha fatto una scelta di campo: ha scelto gli umili, i piccoli, i poveri, l’uomo con le sue fragilità, ha scelto i peccatori, ha scelto noi … Lui porterà questa scelta di campo fino alle estreme conseguenze, fino alla croce!

Noi che scelta di campo facciamo? Per chi? Con chi? Oggi questa domanda ci è gridata dalle parole profetiche di Simeone. In questa richiesta, forse, si può trovare una parola per la vita delle nostre famiglie. La vita familiare è il più diffuso ordinario, e la liturgia di oggi mi pare che suggerisca che è in questo ordinario che bisogna far brillare lo straordinario di un riconoscimento e di una scelta di campo. L’ordinario può divenire un luogo “esplosivo” di vita nuova oppure la tomba di ogni slancio, la tomba dei sogni e delle speranze. Il Bambino di Betlemme è quel Gesù che interpella in tal senso ogni suo discepolo, chiede la vita … e gli sconti non sono possibili!

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