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Commento al Vangelo prima domenica del Tempo ordinario, festa del Battesimo del Signore

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

Battesimo del Signore – I domenica del Tempo ordinario – Anno B
Is 55,1-11; Cantico da Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11

Paolo Veronese: “Battesimo di Cristo” (1550/1560). North Carolina Museum of Art.

Se il Tempo di Natale invita la comunità credente a contemplare il mistero del Dio che assume la nostra carne umana, divenendo uno di noi, il Tempo ordinario è il tempo nel quale, ripercorrendo il mistero della vita “pubblica” di Cristo (la sua preghiera, la sua predicazione, il suo agire), si è chiamati a cogliere le ricadute che il mistero del Dio fatto uomo ha sull’umano e sul modo di abitarlo. Nella misura in cui Gesù, il nuovo Adamo, è venuto a raccontarci Dio e lo ha fatto assumendo pienamente la nostra natura umana, egli ha anche raccontato l’uomo all’uomo. Il racconto, però, non può (e non deve) rimanere solo “informazione” su una verità da comprendere: esso deve diventare possibilità di vita, possibilità, cioè, che ciascuna vita umana sia “formata” secondo l’immagine che Cristo stesso ci ha offerto.

Non a caso, allora, a fare da cerniera tra il Tempo di Natale e il Tempo ordinario è la domenica del Battesimo del Signore: il battesimo di Gesù al Giordano, infatti, è promessa che l’uomo nuovo-Gesù, fa a tutti gli uomini, “prigionieri” dell’uomo vecchio, di essere con loro in quell’opera necessaria e dolorosa che è la morte dell’uomo vecchio. Il gesto di Gesù di mettersi in fila con i peccatori per farsi immergere da Giovanni è “sacramento” di tutta la sua vita: in quel gesto è già pienamente significata tutta la sua vita di “prossimità” a ogni uomo, di condivisione piena, senza privilegi (cf. Fil 2,6), della condizione degli uomini segnati dal peso della fragilità e della miseria; in quel gesto, Gesù, pur non avendo commesso peccato, sceglie già di essere dalla parte dei peccatori e si prepara a farsi egli stesso peccato in nostro favore (cf. 2Cor 5,21).

Inizia qui, nelle acque del Giordano, quella discesa agli inferi che farà di Gesù il compagno dell’“ultimo” degli uomini, di chiunque, cioè, abbia smarrito l’immagine di Dio in sé: inizia qui per il Verbo eterno fatto carne una via umanissima che lo porterà ad abitare l’umano, cantandone e custodendone instancabilmente la bellezza, anche a costo di pagare un prezzo: il prezzo dell’essere-con, del con-soffrire, del con-morire, per affermare che la verità più profonda dell’uomo è essere-per-l’altro. È dentro questa scelta di spoliazione per la prossimità che Gesù ha avuto accesso alla rivelazione piena della propria identità di Figlio («Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento»): la discesa di Gesù nelle acque del Giordano non è, allora, un gesto esemplare, ma è un’ora di rivelazione, nella quale la parola che il Padre pronuncia sul Figlio incontra e conferma la coscienza che il Figlio stesso ha acquisito di sé e del suo rapporto con il Padre.

Gesù sa di essere il Figlio unico del Padre, al quale potrà rivolgersi chiamandolo Abbà (cf. Mc 14,36) e l’amore del Padre diviene per lui il fondamento della propria vocazione e della propria missione, tanto che, proprio per questo amore, alla fine del suo ministero, sulla croce, egli si troverà ancora tra i peccatori («Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra», Lc 23,33). Gesù, però, sa anche che questa condizione di figliolanza per quanto “speciale” non è esclusiva: essa è per chiunque sia disposto a vivere in Lui, compiendo con Lui il medesimo passaggio attraverso le acque della morte del proprio uomo vecchio. «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12) … «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6).

Vivere da discepoli del Signore significa, dunque, fare della propria vita un’autentica esistenza battesimale, assumendo fino in fondo tanto la condizione filiale quanto quella fraterna, esattamente come ha fatto Gesù.

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