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Commento al Vangelo domenica 21 gennaio. Gesù chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono con lui: costituì i dodici apostoli

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

Terza domenica del Tempo ordinario – Anno B
Gn 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

Domenico Ghirlandaio: “Vocazione dei primi apostoli” – Cappella Sistina (1481)

L’inizio della predicazione di Gesù è caratterizzato da due “azioni” tra loro intimamente connesse: l’annuncio della prossimità del Regno e la chiamata dei primi discepoli. Anzitutto l’annuncio: «Il Regno di Dio è vicino» (v. 15). È questo l’”evangelo”, la buona notizia di un nuovo inizio per l’umanità tutta: un annuncio di speranza che irrompe all’indomani della consegna di Giovanni il Battista («dopo che Giovanni fu consegnato», v. 14) e contraddice la tenebra del mondo che ha rifiutato Giovanni e la sua predicazione. La prossimità del Regno significa anche la fine di un’attesa («Il tempo è compiuto», v. 14): c’è dunque un oggi, quello di Gesù, in cui Dio compie tutte le sue promesse e si mostra fedele alla sua alleanza («tutte le promesse di Dio in lui sono “sì”», 2 Cor 1, 20). L’annuncio, però, esige l’assunzione del suo contenuto: il venire del Regno nella storia degli uomini chiede che a Dio si faccia spazio e questo comporta che l’uomo si lasci “capovolgere” da Dio, ri-orientando verso di Lui i propri pensieri e tutta la propria vita.

Per questo quella “buona notizia” («Il Regno di Dio è vicino») è seguito subito da un imperativo: «Convertitevi e credete nell’Evangelo!» (v. 15). La forza di questo comando non contraddice, in realtà, la discrezione di un Dio, che mai si stanca di rivolgere all’uomo il proprio invito a vivere la piena comunione con Lui: il tono perentorio di quelle parole, tuttavia, vuole richiamare l’attenzione a una via che l’uomo deve imparare a riconoscere come non eludibile e non contrattabile. Se è vero che il Regno si è fatto vicino, è necessario che cambi qualcosa e l’unica cosa della quale l’uomo può disporre realmente il cambiamento è il proprio cuore. Il venire del Regno proclama così un’urgenza: non è possibile temporeggiare dinanzi al Regno che si è fatto vicino, dinanzi a un Dio che, in Gesù, ha deciso di entrare nel “divenire” degli uomini, nella loro storia! Se la storia è diventata “luogo” di Dio, questa è una provocazione a che le storie degli uomini divengano “luoghi” di Dio. La scena evangelica della chiamata dei primi discepoli vuole sottolineare in maniera “plastica” proprio l’urgenza di dare una risposta al “passare” di Dio nella storia… un “passare” nel quale è custodito tutto il mistero di una elezione, che dice il desiderio di Dio di fare alleanza con l’uomo.

L’urgenza della scelta che l’uomo è chiamato a fare di fronte al passare di Dio è sottolineata, nel racconto di Marco, mediante quel «subito» con cui, primi tra tutti, Simone e Andrea seguono Gesù e mediante quel «lasciarono» con cui Giacomo e Giovanni abbandonano il lavoro, mentre il padre e i garzoni sono ancora sulla barca. È questo medesimo appello all’urgenza ciò che ogni lettore dell’evangelo è chiamato ancora a cogliere con tutta la sua forza, perché, come ricorda anche Paolo, «il tempo si è fatto breve… passa infatti la figura di questo mondo» (1Cor 7,29.31). In Gesù, l’urgenza della conversione viene allora a coincidere con l’urgenza della sequela: tornare a Dio significa seguire Gesù. Egli è la via che riconduce al Padre, perché egli è il volto nel quale il volto del Padre si è reso visibile all’uomo. Chiamando ad andare dietro di Lui, Gesù invita a entrare in una condizione di permanente discepolato: il discepolo del Signore non diventerà mai maestro, ma rimarrà sempre discepolo, chiamato a fare vita con Gesù fino in fondo, stando dietro di Lui, fino a dare la vita. Solo allora, quando sarà passato attraverso la croce, il discepolo sarà veramente discepolo, come Ignazio di Antiochia scrive ai cristiani di Roma, alla vigilia del suo martirio (cf. Lettera ai Romani IV, 2).

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