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“Accresci in noi la fede”. Nel Vangelo di domenica 2 ottobre la richiesta degli Apostoli a Gesù

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A cura di don Andrea De Vico
Anno C – XXVII per Annum (Lc 16, 17, 5-10) 

“Gli apostoli dissero: «Accresci in noi la fede!» Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: sradicati e vai a piantarti nel mare»”

Gesù predica nel contesto di una cultura profondamente e integralmente religiosa. Al governo c’erano uomini di religione, se ne facevano un vanto. I farisei in particolare costituivano una corrente laica di spiritualità che ha espresso personalità di grande levatura. Questa gente ha avuto il merito di iniziare a riflettere sulla “fine del mondo” (tecnicamente detta: “riflessione escatologica”), ha cominciato a parlare della “retribuzione nell’aldilà”, e ha coniato l’espressione di “Regno di Dio”, termine che nella predicazione di Gesù assume un ruolo di capitale importanza. Tuttavia, questa grande religiosità laico-farisaica è scaduta nel legalismo e nella presunzione di ritenersi superiori agli altri. Gesù entra spesso in contrasto con i farisei, li prende in giro: “voi che portate le lunghe frange … voi che amate i primi posti … voi che vi sentite i privilegiati …”

Di fronte agli apostoli che chiedono “più fede”, Gesù risponde in un modo strano, inaspettato, con una parabola irritante. Parla di un padrone incontentabile che a un suo servo non lascia mai un attimo di tregua, neanche dopo una giornata intensa di lavoro. Non è che gli dica: “siediti e mangia” ma: “preparami da mangiare, e dopo che mi sono saziato io, mangerai anche tu”. E’ l’immagine di una società violenta, ingiusta e prepotente. Sembra che Gesù voglia presentare Dio come un padrone duro ed esigente, in realtà egli non sta dicendo come Dio tratta l’uomo, ma come deve essere il comportamento dell’uomo verso Dio: di totale disponibilità. Infatti prende l’esempio di questo servo che lavora fino a sera senza pretendere nulla, e senza dire: “ho finito, chiudo e me ne vado”. Questo significa che non è possibile servire il Regno di Dio con lo spirito del salariato, tanto di lavoro e tanto di paga. Tu che vorresti avere “più fede”, dovresti contentarti di fare il tuo lavoro, e alla fine dovresti solo dire: “sono un semplice servo, ho fatto quel che dovevo fare”.

Sembra che Gesù faccia dell’ironia, quando gli apostoli gli chiedono questo “aumento” di fede: “perché, voi avete la fede?” “se ne aveste solo un pizzico, smuovereste le montagne” “vedete di non esagerare, siate come servi a fine giornata”. Viene da pensare a quelle persone che, eccitate da un poco credibile desiderio di santità, cercano l’orgasmo religioso. Vorrebbero “credere di più”, è vero, ma allo scopo di “godere di più”. In natura, si sa, le smanie d’amore vanno necessariamente  segnalate ai congeneri, come i fanno i cervi in amore per dire: “femmine, sono prestante! maschi, state alla larga!” Nulla di male, anzi: benedetto il Creatore che ha dato agli esseri l’istinto della prolificazione, ma nel campo degli umani affetti questa smania religiosa produce dei soggetti che hanno l’odiosa ed evidente tendenza a ritenersi migliori degli altri. E Gesù che li frena: “calma, non chiedete troppo, state coi piedi a terra, tenetevi occupati, mantenete lo status del servo, è meglio!”

Oggi, a differenza dei tempi di Gesù, viviamo in un contesto in cui è “politicamente scorretto” manifestare la propria fede in pubblico, si ha persino paura di dichiararla. In certi ambienti dell’università e della cultura, uno che dice di essere credente viene guardato con una certa aria di commiserazione, come se fosse un ritardato mentale, uno che non sa pensare con la sua testa. In realtà, invece di preoccuparci della pubblica visibilità della nostra fede, o a chiederne scioccamente un “aumento”, faremmo meglio ad abbassare l’asticella al piano dei servizi. Il Regno di Dio funziona a questo livello. Le persone che ancora oggi si ostinano a pregare come gli apostoli, per avere “più fede”, non afferrando la sottigliezza, stanno pregando contro i loro stessi interessi.

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