Home Chiesa e Diocesi Mons. Pietro Farina, dieci anni dalla morte del “Pastore con il sorriso”

Mons. Pietro Farina, dieci anni dalla morte del “Pastore con il sorriso”

La Diocesi di Caserta, dove Mons. Farina ha terminato la sua vita terrena e il suo servizio di Pastore, lo ricorda con una messa a Mezzano il 24 settembre alle 18.30

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Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Mons. Pietro Farina avvenuta il 24 settembre 2013 nella Clinica Neuromed di Pozzilli dopo un periodo di malattia che, pur avendo fiaccato il fisico, con fatica frenava l’indole e la passione pastorale dell’allora Vescovo di Caserta.

Eletto Vescovo di Alife-Caiazzo il 16 febbraio 1999, prendeva possesso della Diocesi matesina pochi mesi dopo per trascorrervi un tempo di costante semina e di buoni frutti; ancora oggi, a distanza di tempo, le comunità parrocchiali ne ricordano la figura e in occasioni come questa, pregano per la sua anima. La Diocesi di Caserta, la Chiesa in cui ha concluso da Vescovo il suo impegno terreno per la Chiesa, lo ricorda con una Santa Messa presieduta da S.E. Mons. Pietro Lagnese domenica 24 settembre alle 18.30, nella parrocchia di Maria Santissima Assunta in Mezzano a cui don Pietro Farina era particolarmente legato per ragioni e sentimenti di radici lontane.

Il 26 settembre 2013, nell’affollato Duomo di Caserta, alla presenza di vescovi, sacerdoti, diaconi, autorità civili e militari e centinaia di fedeli, il Card. Crescenzio Sepe presidente della Conferenza Episcopale Campana e amico fraterno di Mons. Farina celebrava le esequie e, ripercorrendo durante l’omelia la vita e la formazione teologica e spirituale, ricordava di lui la fede salda e sincera, la devozione mariana, il continuo anelito di conoscenza e sapere, la passione per il mondo della comunicazione sociale. Ma a tratteggiarne brevemente e in maniera puntuale il profilo sì da lasciare un’immagine nitida del Pastore defunto era il vescovo emerito di Caserta Mons. Raffaele Nogaro, con gli occhi fissi rivolti al feretro, come in un colloquio personale con il più giovane fratello: “Pregavo perché ero convinto che Dio ci facesse grazia, invece adesso con grande disagio entriamo nel Getsemani per dire “Si Padre, sia fatta la tua volontà”. Ci edifica il fatto, fratello Pietro, che tu in mezzo a noi sei stato il vero discepolo di Cristo. Gesù ti aveva dato tutti e cinque i talenti: la fede, la speranza, la carità, l’intelligenza, la volontà e tu li hai fatti fruttificare al massimo con buona fedeltà assoluta al tuo sacerdozio e alla Chiesa. E ora Gesù ti dice “Vieni servo buono e fedele” nel regno che Dio ha preparato per te”. Poi, ricordando gli ultimi tempi della malattia che lentamente lo vinceva, “Negli ultimi mesi soprattutto, è stata devastante la malattia e quindi l’esperienza del fratello Pietro al punto che io ho pensato soprattutto in quest’ultimo mese, che lui guardandomi quando lo incontravo, mi dicesse “Cupio dissolvi et esse cum Cristo”: ho bisogno ormai di staccarmi, di sciogliermi dai lacci di questa terra per essere con Lui. E lo diceva sempre con quel sorriso che distingueva la sua persona, che rendeva cara la sua persona, che ha saputo mantenere fino all’ultimo istante. Ha salutato tutti noi col sorriso. Il motto del suo Episcopato è ‘Et Resurrexit’: Pietro, noi sappiamo che tu sei risorto e sei felice”.

Aveva portato nel suo Episcopato la spinta che il Concilio Vaticano II aveva profuso all’intera Chiesa: l’apertura al nuovo, lo sguardo proteso in avanti su prospettive che non temevano l’aggiornamento di standard liturgici e pastorali, lo stile dialogante nel continuo confronto con il mondo laico e civile in genere; il valore della formazione dei credenti e quello della partecipazione alla vita della Chiesa; il ruolo di responsabilità del laicato; come pure aveva intuito il peso della cultura e della comunicazione perché il Vangelo parlasse ad un mondo in repentino cambiamento alla soglia del XXI secolo; e poi la centralità di Cristo, dell’Eucarestia e una profonda devozione mariana coltivata e trasmessa con fede sincera e ragionevole intelligenza. Così come teneva il passo alle proposte della Chiesa facendone esperienza e approfondimento per le comunità diocesane che ha guidato ad Alife-Caiazzo e Caserta.

Di lui, come da tanti sottolineato il giorno dei funerali e nelle diverse occasioni che ne hanno commemorato la figura, resta un ricordo che si trasforma anche in eredità: l’entusiasmo di essere figlio della Chiesa e il rispetto per essa; la fedeltà al ministero del Papa e la fedeltà al servizio che gli era stato affidato; il sorriso e la sapienza semplice che parlava a tutti.

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