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Coronavirus e la Chiesa “di dopo”. In attesa di nuove norme per andare a Messa la Diocesi si prepara così

Organizzare gruppi di operatori preposti al controllo dei flussi dei fedeli nelle chiese; procedere alla collocazione di dispenser igienizzanti: sono alcune delle idee da elaborare in attesa di precise norme per il lento ritorno alle Celebrazioni

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(Nella Cattedrale di Alife i fedeli accedono alla Comunione rispettando la distanza di sicurezza. Domenica 8 marzo 2020)

Grazia Biasi – Come sarà la Chiesa del “dopo”?
Come ci si prepara ad affrontare la ‘fase due’ di questa epidemia?
Sarà una doppia sfida: la prima è sul piano pastorale con traguardi immediati e progetti a lungo termine. Dapprima la continuità del lavoro già concretizzato in queste lunghe settimane appena trascorse attraverso l’utilizzo e i vantaggi del web che hanno reso l’impegno di sacerdoti e collaboratori “diversamente” creativo; ma al contempo si prepara anche quel lento ritorno alla normalità che gradualmente ci vedrà nuovamente faccia a faccia nelle nostre comunità (rigorosamente con mascherine e a distanza) per vivere e condividere programmi, idee, e per dare concretezza al Vangelo.
Se ci vorranno mesi…? Nessuno lo esclude, ma la speranza e la continuità dell’impegno pastorale, ora più che mai, chiedono di pensare ad un futuro senza improvvisazioni, pianificato con chiarezza, con lo sguardo a fuoco su destinatari e obiettivi…in ascolto di piccole o grandi voci di ciascun fedele, in particolari quelli mai raggiunti (il web non è nelle possibilità di tutti) durante questa epidemia.

La sfida doppia prevede tuttavia un nuovo e diverso atto di coraggio attraverso il rispetto di regole che presto verranno rese note dalla Conferenza Episcopale Italiana in accordo con il Governo affinché il rientro nelle chiese per la celebrazione dei sacramenti garantisca la tutela della salute pubblica: ed è un impegno che chiama in causa maturità di fede e di comportamenti, scelte responsabili e rispettose, atteggiamenti per nulla approssimativi e “facili”. Non si tratta solo di evitare un tragico ritorno al coronavirus, ma confermare che l’epidemia abbia davvero maturato in ciascuno la consapevolezza che dalla vita di ognuno dipende quella degli altri, della collettività…
Il diritto alla vita, diventa un assoluto, radicato nelle scelte di ciascuno, e ancor di più in quelle dei credenti, di coloro che nella fede si trovano ad essere chiamati e convocati a pensare gli altri prima di se stessi (senza rimbalzi di responsabilità), ad amare, ad avere a cuore, ad essere in prima linea per fare la carità (anche con le chiese chiuse e in piena epidemia!); sono i credenti interrogati ad essere come Gesù e non diversamente; credenti coraggiosi ma anche lucidi e fieri di distinguere tra il “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare”.
L’attesa di poter celebrare i sacramenti (non solo i funerali!), di andare alla fonte di ogni motivazione e dell’essere, di ciò che rafforza un’identità (quella del cristiano) si serve in questo momento di strade tortuose, di prove, dell’audacia di cercare Dio nella preghiera in famiglia, quella che in tante chiese domestiche mancava da sempre…

Stamattina nella consueta celebrazione dell’eucarestia da Casa Santa Marta, Papa Francesco con il tono pacato e paterno di sempre, non ha esitato: “In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni” aggiungendo a questa intenzione iniziale il prosieguo della sua omelia invitando a pregare il Signore “perché ci aiuti ad essere giusti nei nostri giudizi…” (leggi).

Prudenza, controllo delle situazioni, rispetto delle decisioni che verranno fornite – frutto di oculato discernimento e di dialogo – ma soprattutto fede e responsabilità: è questo lo stile di chi si prepara al dopo.

 Il cantiere diocesano 
Le Diocesi di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca, con il vescovo Mons. Orazio Francesco Piazza, allestiscono in queste ore un “cantiere”, che mette sul campo nuove forze e nuove figure: si pensa infatti a come regolare il flusso dei fedeli nelle chiese, appena sarà possibile, contando sull’aiuto e sul controllo di collaboratori laici che saranno sentinelle e custodi delle loro comunità, ben formati ed istruiti su ‘come fare’.

Si pensa infatti a come gestire la presenza dei tanti che torneranno per partecipare alla messa non escludendo (siamo tuttavia in una prima fase di studio sul da farsi) la collaborazione con le Associazioni civili che nei territori, per statuto e servizio proprio, si occupano della tutela pubblica e conoscono per esperienza e competenza la gestione di simili situazioni. È una Chiesa che mentre si pensa al futuro, include nel suo rinnovato modo di esistere anche collaborazioni nuove, frutto di un cammino fianco a fianco già sperimentato (soprattutto in queste settimane di emergenza) con Protezioni Civile, Croce Rossa, Associazioni piccole o grandi…
È un modo per ridiseganre – a partire dalla comunità ecclesiale – lo stile di una società, e lo si fa ancora una volta per dare una mano, sostenere e dare risposta ai fedeli cristiani  che – pazienti e prudenti – hanno atteso.

Al vaglio delle due Diocesi della Campania ogni possibilità, anche quella che si concretizza in queste ore, che vede la prossima collocazione nelle chiese di dispositivi per la disinfezione delle mani e la predisposizione degli spazi da occupare. Sacerdoti e fedeli chiamati ad una maturità più forte, ancor più radicata in scelte di civiltà e di buon senso: vita e fede si sintetizzano così.
Qui e ora, non è un tempo che verrà, ma un Vangelo che ci interpella oggi, e che (come sempre) rompe gli schemi e chiede il coraggio e l’audacia di rimanere fedeli a Cristo, nonostante tutto…di rimanere “tempio vivo di Dio”.

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