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Racconti ed emozioni. I giovani del Matese dal fronte della Grande Guerra

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In occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, che ricorre il 4 novembre, riproponiamo il ‘racconto’ dei giovani matesini vittime della Prima Guerra Mondiale, frutto delle ricerche d’archivio degli studiosi Daniela Mastrolorenzo e Armando Pepe.

Battaglia del Piave (fonte Internet)

di Daniela Mastrolorenzo e Armando Pepe 

Senza scomodare Bertolt Brecht, che scrisse «sventurata è la terra che ha bisogno di eroi», affrontiamo questa settimana un tema che ci sta particolarmente a cuore, quello dei caduti in guerra, poiché al ricordo delle tante giovani vite spezzate il nostro animo ancora vibra di genuine emozioni.

Al di là di una vana retorica che lascia il tempo che trova, proviamo a delineare un breve profilo di chi, proveniente dal Medio Volturno, durante il Primo conflitto mondiale, gettando il cuore oltre l’ostacolo morì perché la Patria vivesse.
Baseremo il nostro racconto su brevi notizie che il deputato al Parlamento Teodoro Morisani e altri scrittori di cose locali raccolsero nel 1917, anno della Battaglia di Caporetto e della Prima battaglia del Piave. In più, pubblicheremo integralmente il carteggio che il giovane soldato piedimontese Salvatore Riselli intrattenne con i genitori. Sia per l’esercito italiano sia per quello austriaco fu un anno di immensi massacri. Non mancarono fulgidi esempi di elette virtù militari e di senso del dovere spinti fino all’estremo sacrificio.

Guglielmo Torti
«Guida questa schiera aureolata Colui che rappresenta nel martirio di oggi tutta la balda tradizione che ha illustrato le aspre terre del Matese, Guglielmo Eduardo Marcellino Torti (figlio di Nicola e Maria Buriali d’Arezzo, capitano del 23° Reggimento di Artiglieria da campagna. Nato a Piedimonte Matese il 13 ottobre 1888, morto il 3 settembre 1917 sull’Altopiano della Bainsizza in seguito a ferite riportate in combattimento. Sepolto nel cimitero comunale di Piedimonte Matese).
Il giovane, consumato dall’ardore e smagrito dal dovere- che ha portato così lontano dai suoi monti la fede e l’entusiasmo, onde cinquant’anni fa suo padre servì la causa dell’Unità Italiana- perpetua col proprio sangue una tradizione familiare di valore e nobiltà. Lo rivedo con la medesima luce sorridente negli occhi buoni, che la guerra- combattuta per oltre due anni- non gli aveva spento nelle pupille. Mi narrava le aspre vigilie sull’Isonzo, l’argine dei petti nella Val d’Astico, gli appostamenti audaci sul ciglio estremo della Val Sugana, sotto la neve e la tormenta, e finalmente la rivincita, l’esplosione che ci condusse di colpo oltre Gorizia, sulla via che doveva spaccare il centro vitale del nemico, ed in una visione di fumo e di sangue aprirci il tempio della Vittoria. In margine a questo sogno, verso il quale palpitava, prima che il voto si compisse, il sacrificio fu consumato. La morte ha spezzato una vita, non un ideale, ha acceso una memoria, non ha spento un ardente desiderio. (Morisani, pp. 5-6)».

Salvatore Riselli
Il secondo ritratto, scritto da Eleonora Semeraro, è dedicato a Salvatore Silvestro Riselli (figlio di Salvatore e di Marcellina Ferrazza, soldato del 73° Reggimento Fanteria. Nato il 1 gennaio 1896 a Piedimonte Matese, morto il 17 settembre 1916 sull’ambulanza chirurgica della Quarta Armata per ferite riportate in combattimento. Sepolto al Sacrario Militare di Redipuglia). Tra paure, nostalgia di casa e speranze il giovane Salvatore Riselli scrisse costantemente alla famiglia. Proponiamo otto lettere, da cui si colgono umori, attaccamento alla Patria e nobili sentimenti.

Zona di Guerra, 3 Agosto 1916
 «Spero che ti siano pervenute le mie cartoline, con le quali ti facevo sapere che mi trovo al fronte di Trieste, presso Monfalcone. Il clima di questa pianura è l’opposto di quello del Trentino, dove faceva un gran freddo. Ci troviamo qui accampati in attesa di avanzare in trincea, ed il nostro Capitano già ci ha parlato di prossimi assalti contro l’avversario, e non dubitare che serberò sempre la calma necessaria per poter bene disimpegnare queste azioni rischiose. Da questa parte vi sono costruite trincee ed opere di difesa che io chiamerei vere architetture… Oggi in una marcia siamo passati per vari paesi che prima erano sotto l’Austria, oggi sono redenti. Si direbbe che sono paesi ora costruiti; è il novello elemento Italiano che si fa strada. La marcia di oggi è stata per me la più faticosa ed oppressiva di quante ne abbia fatte; sole cocentissimo, l’inseparabile zaino che rovina le spalle, polvere negli occhi e morsi di zanzare… mi meraviglio come finora abbia resistito a queste prove».

Zona di Guerra, 6 Agosto 1916
«Non so quando ti giungerà la presente. La scrivo di fretta perché dobbiamo avanzare. Accogli i miei più cari auguri per il tuo onomastico».

Zona di Guerra, 12 Agosto 1916
«Abbiam dovuto dar l’assalto ad una trincea nemica. Come sono vivo non lo so! Nella mischia mi è caduto l’elmetto. Stanchi, sfiniti, abbiamo ancora proseguito avanti. Adesso ci troviamo a pochi passi degli Austriaci. Abbiamo presi molti prigionieri, fra cui parecchi ufficiali. Non puoi immaginare le infinite pallottole che mi hanno fischiato negli orecchi. Credo che si assalirà ancora. Soffriamo la sete da più giorni sotto il sole e la pioggia batte continuamente. Faccio sforzi superiori a me stesso».

Zona di Guerra, 23 agosto 1916
«Dopo i recenti fatti d’armi, il nostro reggimento, per la brillante azione che svolse nelle adiacenze di Gorizia, ha avuto la medaglia ed il nostro Colonnello ha ottenuto il grado di Maggior Generale. Che io sia ancor vivo, dopo quattro assalti alla baionetta e un gran numero di attacchi al fuoco di fucileria, è un vero miracolo. Nel primo combattimento persi l’elmetto d’acciaio e non me ne accorsi che alla sera, tanto ero fuori di me in quei tragici momenti. Per ora ci troviamo a riposo e non so quanto vi staremo; baciami tanto la mamma e tutti i fratelli».

Zona di Guerra, 29 agosto 1916
«Eccomi di nuovo ritornato in trincea. Forse ci sarà un attacco. Siamo stati, dopo gli ultimi combattimenti, otto giorni a riposo in Romano [Romans d’Isonzo], paese ora redento, come tanti altri di qui. Sto dietro a un muricciolo improvvisato, ed ogni tanto arriva qualche pallottola nemica che s’infrange su di questo ed esplode. Le granate scoppiano a quattro passi di distanza e qualche scheggia cade proprio ai nostri piedi. Gli shrapnel, poi, sembrano essere l’unica specialità produttiva austriaca, giacché ne tirano centinaia al giorno sulle nostre posizioni. Noi però poco o niente ci curiamo di questi pericoli. Di sera, temendo che noi avanziamo, il nemico incomincia un fuoco d’inferno e getta razzi illuminanti per poterci vedere… ».

 Zona di Guerra, 8 settembre 1916
«Dalla seconda linea siamo passati alla prima, e facilmente vi sarà un’importante azione. Il tempo è molto cattivo, nelle trincee vi è tanto fango che ne abbiamo persino nei capelli; attendiamo un po’ di sole come il Messia… ».  

Zona di Guerra, 11 settembre 1916
«Sono ancora in trincea in prima linea e stiamo cosi vicini al nemico che ogni giorno fra noi vi è un ferito, il cui trasporto non è cosa facile né leggiera per sopra questi monti. Oltre i feriti vi sono i morti delle precedenti battaglie, che ogni sera tumuliamo, ed il nemico tira senza pietà».

Zona di Guerra, 14 Settembre 1916
«Fra qualche ora avanzeremo contro il nemico, l’azione durerà vari giorni e spero di uscirne salvo. Ti scriverò non appena avrò tempo. Non impensierirti ed assistimi col pensiero. Baci a mamma ed a tutti di casa…».

«Semplice e ardimentoso, come tutte le anime buone, divenne appena ventenne un eroe. Fu tale non perché ebbe ad assolvere soltanto il suo compito di soldato sui campi di battaglia, ma perché ancora combattendo volle compiere un atto di fraterna generosità trasportando, lungi dalla mischia, un compagno ferito. Questa generosità gli costò la vita: una mitraglia, in quell’istante, gli squarciò il petto, abbattendolo. Cadde da prode sulle cime del Carso, divenendo un simbolo. Piedimonte, sua patria, l’ha perciò glorificato il 31 ottobre del 1916 con commoventi onoranze. (Semeraro pp. 39-40)».

Michele Bianchi
Il professor Donato Bellini, direttore della cattedra ambulante d’agricoltura, ricordò il sottotenente medico chirurgo Michele Bianchi, nato a Castel Campagnano il 24 maggio 1888 dall’avvocato Alfonso e da Maria Carbone e morto, per le ferite riportate, il 21 dicembre 1917 in ospedale a Bologna.

«Noi ammiriamo non soltanto l’olocausto di una vita ricca di promesse, ma tutta una giovinezza fiorente, ricca di studi, di sapere, di scienza, donati con inestinguibile amore di figlio sull’ara della Patria. La innata gentilezza delle maniere, l’esatto adempimento del dovere, il rispetto verso i superiori, l’affettuosa premura verso i compagni d’arme, gli conquistarono ben presto stima e simpatia. Egli, pronto, animato dalla stessa fede e da incrollabile volontà, portò i lumi del suo sapere all’Università Castrense di San Giorgio di Nogaro, per dedicare alla Patria la sua opera di batteriologo. Il 22 gennaio 1918 il modesto paesetto di Castel Campagnano era avvolto da una atmosfera di lutto; i funerali furono con grande mestizia celebrati nella chiesa parrocchiale; eloquenti discorsi furono pronunciati dal parroco Don Vincenzo Pagliara, dal farmacista Vincenzo De Carlo, dal cavalier Luigi Gaetano Aldi (che ebbe la ventura di accogliere gli ultimi aneliti del compianto amico), dall’Onorevole Morisani, che lo ebbe discepolo e compagno affettuoso. (Bellini, pp. 41- 44)».

Gabriele Piazza
Il professore napoletano Giovanni Amellino, insigne docente di diritto e lettere, rammemorò Gabriele Piazza, figlio di Marcellino e Antonietta Imperadore, sottotenente di complemento del 148° Reggimento Fanteria, studente al terzo anno di Giurisprudenza, nato a San Potito Sannitico 22 giugno 1892 e morto sul Monte San Michele il 2 novembre 1915 per ferite alla testa.

«Parmi vederlo seduto al primo banco, assiduo, vigile, pronto, inteso tutto alle lezioni, come a raccogliere ogni pensiero ed ogni sillaba. Bel viso aperto, occhio nero e luminoso, intuitivo e penetrante, riflesso di mente più atta a condensare che a disperdere. Lo studio del Diritto era per lui sete ardentissima ed austera disciplina di vita.  Tu, o buon Gabriele, nel maggio 1915 partisti, distaccandoti dal tuo genitore, dagli amati fratelli e da quanti ti erano cari, e certo non dimenticasti in quell’ora l’Ateneo e i tuoi maestri. Cadesti, conscio della tua fine, fronteggiando la Nemica che ti veniva incontro minacciosa ed implacabile. Quel dì, sulle pareti dell’Ateneo, in lettere d’oro, tra i nomi impressi degli studenti che s’immolarono alla Patria, anche il tuo leggeremo, o Gabriele Piazza. (Amellino, pp. 93-95)».

Amedeo Sasso
 Il professor Bellini scrisse anche un piccolo ritratto biografico di Amedeo Sasso, figlio di Saverio e Marianna Riselli, caporale nella 1394ˆ compagnia Mitraglieri FIAT. Nato a Piedimonte d’Alife il 15 dicembre 1895, morto Fagarè di Piave il 17 novembre 1917.

«Dica ai suoi genitori che possono andar fieri di aver avuto un simile figlio – così esclamava, nella commovente lettera di partecipazione al sindaco di Piedimonte, il suo comandante, il capitano Giovanni Bocchieri. Ed è una lettera riboccante di affetto e di ammirazione pel giovane che volle affrontare la morte e cadde a soli 22 anni sull’arma che non abbandonò mai sino all’ultimo anelito; giacché l’ultimo saluto alla Patria diletta e ai suoi compagni rendeva sotto gli occhi del Tenente Rainone, il quale, in un’altra lettera al nostro sindaco, affermava che il compianto nostro conterraneo ha operato ed è morto come un eroe da leggenda. (Bellini, p. 25)».  Leggiamo nella nuda brevità l’eloquente lettera capitano Bocchieri: «A Brescia volontariamente ha voluto far parte della mia compagnia. Fin dai primi giorni ho apprezzato in lui un coraggio eccezionale, un entusiasmo meraviglioso; ovunque vi era un pericolo da affrontare lui era sempre tra i primi. L’altro ieri, durante un’asprissima lotta si è comportato da eroe. Per tutta la giornata, con la sua mitragliatrice, allo scoperto, sotto le incessanti raffiche delle mitragliatrici nemiche, fece un fuoco micidiale, falciando le onde barbare, che venivano all’attacco passando a guado il fiume Piave. La sera era venuta e il nemico si manteneva ancora in una importante posizione, da cui faceva fuoco sulle nostre linee con numerose mitragliatrici; occorreva ricacciarlo a qualunque costo. Il caporale Sasso, offertosi spontaneamente, prese la mitragliatrice e, seguito da altri valorosi, l’appostò a brevissima distanza da quelle nemiche, cominciando a controbattere efficacemente il loro fuoco. Ma una palla nemica lo colpì alla fronte, ed egli cadde sulla sua gloriosa arma, che da quel momento si tacque. L’ho proposto per una decorazione al valor militare (Bellini, p. 26)».

Antonio Gagliardi Antonio Marcellino Salvatore Gagliardidi Giuseppe e Rosa Della Paolera, soldato del 55° Reggimento Fanterianato il 23 maggio 1895 a Piedimonte d’Alife e disperso nel Mare Adriatico l’8 giugno 1916.

L’8 giugno 1916 fu organizzato il rientro in Italia dall’Albania, via mare, del 55º Reggimento Fanteria, che contava 2605 effettivi. Per il trasporto delle truppe partì un convoglio formato, oltre che dal Principe Umberto, anche dal piroscafo Ravenna, mentre la scorta era composta dall’esploratore Libia e dai cacciatorpediniere InsidiosoEsperoImpavido e Pontiere. Sul Principe Umberto avevano preso posto, fra truppa ed equipaggio, 2821 uomini. La nave, come molte altre grandi unità mercantili requisite, aveva due comandanti: uno militare, il tenente di vascello Nardulli, l’altro civile, il capitano Sartorio. Le navi salparono alle 19:00 e poco dopo il convoglio intrecciò la propria rotta con quella di un sommergibile tedesco, l’ U- Boot Tipo U 5. Da circa un chilometro di distanza, una quindicina di miglia a sudovest di Capo Linguetta (un promontorio dell’Albania situato nel punto più stretto del Canale d’Otranto) il sommergibile nemico lanciò due siluri. Il Principe Umberto, colpito a poppa, s’inabissò nel giro di qualche minuto, trascinando con sé 1926 uomini. Solo 895 poterono essere tratti in salvo.

Antonio Attilio De Cesare
Antonio Attilio De Cesare, figlio  di Casimiro ed Ernesta De Iorii, Tenente di complemento del 271° Reggimento Fanteria, nato il 27 luglio 1889 a Piedimonte d’Alife e disperso in combattimento il 26 agosto 1917.
Motivazioni delle due medaglie d’argento al valor militare conseguite dal Tenente De Cesare:
Gargaresch, 18 gennaio 1912
«Si distinse per slancio e sangue freddo nel comandare la squadra, tanto al fuoco, quanto all’assalto e nel provvedere al rifornimento delle munizioni sulla linea di fuoco».

Monte Zovetto, 18 giugno 1916
«Comandante si una sezione mitragliatrici, postava le sue armi in una posizione opportuna e adatta per battere il nemico, infliggendogli gravi perdite. Noncurante del violento fuoco avversario e ferito ad un braccio e ad una gamba, continuava nell’azione, tenendo contegno mirabilmente calmo e sereno ed essendo di esempio ai propri dipendenti».

Conte Alfredo Gaetani di Laurenzana
Figlio di Alfonso e Adele d’Amore.

Sottotenente di Complemento del XII° Reggimento di Artiglieria da campagna, nato a Napoli il 12 Luglio 1894, morto il 22 Settembre 1917 sull’Altipiano della Bainsizza per ferite riportate in combattimento, sepolto nel cimitero comunale di Piedimonte.

Motivazioni per il conferimento della medaglia d’oro al valor militare
Hoje, 22 settembre 1917
«Dopo aver spiegata opera intelligente, attiva e coraggiosa quale ufficiale di collocamento presso una brigata di fanteria impegnata nell’azione del passaggio dell’Isonzo e la conquista d’importanti posizioni, continuava ad assolvere il proprio compito con mirabile ardimento e nobile abnegazione, quale ufficiale di collegamento in trincea, e nel disimpegno delle sue mansioni veniva colpito a morte».

Luigi Pascale
Figlio di Vincenzo e Antonietta Boggia. Sottotenente di complemento del III °Reggimento Bersaglieri,
nato il 5 gennaio 1898 a Piedimonte d’Alife e morto il 16 giugno 1918, sul Monte Valbella, per ferite riportate in combattimento.

Decorato di medaglia d’argento al valor militare.
Costalunga, 16 giugno 1918
«Comandante di sezione, si slanciava arditamente all’assalto di una posizione. Ferito, abbandonava le sue armi e, dopo aver espugnata una trincea, la difendeva valorosamente dai ritorni offensivi dell’avversario, primo fra tutti per spirito aggressivo e coraggio. Sopraggiunti forti reparti nemici, rimaneva al suo posto, lottando strenuamente finché, colpito a morte da una bomba a mano, cadeva da prode»

Fonti e bibliografia
Archivio di Stato di Caserta;
https://play.google.com/store/books/details?id=Lf4fuJbwqu8C&rdid=book-Lf4fuJbwqu8C&rdot=1
Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe, Anno II, numero 6, Piedimonte d’Alife;
Teodoro Morisani, Gli eroi della Regione Il capitano Guglielmo Torti, Maddaloni, Stab. Tipo-lit. G. Golini 1917;
In memoria di Salvatore Riselli di Salvatore, Maddaloni,  Tip. G. Golini 1917;
Ringraziamo il dottor Fabio Brandi, bibliotecario dell’Associazione Storica del Medio Volturno, per la consueta disponibilità.

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