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Commento al Vangelo di domenica 30 luglio. Scoperta, riconoscimento, accoglienza: questo è il “lavoro” del credente

Commento al Vangelo della XVII domenica del Tempo ordinario - Anno A

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XVII domenica del Tempo ordinario – Anno A
1Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8, 28-30; Mt 13, 44-52

Luca Giordano (1634 – 1705): “Il sogno di Salomone” (1693 – Museo del Prado, Madrid)

L’Evangelo odierno ci porta alla fine del discorso in parabole di Gesù, che Matteo colloca al capitolo 13 del suo evangelo. Vengono qui raccolte tre brevi parabole che ancora descrivono non tanto cosa è il Regno in sé, ma ciò che avviene quando ci si imbatte nel Regno di Dio: le prime due, quella del tesoro e della rete, intendono mettere l’ascoltatore di fronte alla domanda esistenziale per eccellenza: hai trovato il tesoro, la perla preziosa – dunque il Regno – che è il bene massimo per la tua vita? Lo hai riconosciuto? Hai rinunciato a tutto pur di poterlo ottenere? Matteo sembra offrirci alcune indicazioni utili al riguardo.

  • Anzitutto la scoperta del Regno è qualcosa di non programmabile. Non è in virtù di una nostra pianificazione che ci si imbatte nel tesoro o nella perla: questi beni, che sono da tempo nascosti, si lasciano trovare quasi per caso. Si notino gli atteggiamenti diversi dell’uomo della prima parabola, che trova senza cercare, e del mercante della seconda parabola, che è, per sua professione, un cercatore. Non importa, dunque, l’attitudine esistenziale interiore per incontrare il bene della propria vita: ciò che conta è la disponibilità a riconoscerlo.
  • Il riconoscimento non è simmetrico nelle due vicende: nella prima, infatti, è evidente il valore del bene trovato: si tratta di un tesoro… nel secondo caso, paradossalmente proprio quello del cercatore, occorre un certo discernimento perché si riconosca l’effettivo valore della perla. Sembra quasi che il Regno si riveli in maniera diversa a seconda di chi incontra: esso appare con più evidenza a colui che non cerca, perché possa attirarne l’attenzione, suscitando in lui quella gioia che diventa la mola di tutte le sue successive azioni, volte a consentire l’appropriazione di quel bene.
  • Accogliere il Regno significa, allora, essere disposti a non anteporre ad esso nulla, tanto da vendere tutto ciò che si ha: è chiaro qui il riferimento al dinamismo della chiamata, che per gli Evangeli comporta sempre un lasciare tutto per seguire Gesù.

Scoperta, riconoscimento, accoglienza: si tratta di tre possibili fasi della propria relazione con il Regno che ci dicono anzitutto la possibilità che è data all’uomo di fronte allo svelarsi del Regno (che l’uomo può scoprire, può riconoscere e può accogliere): non a caso il linguaggio parabolico diventa il grande veicolo di uno svelarsi che non costringe, perché esige un percorso personale, nel quale sono messe in gioco tutte le risorse umane. A prescindere dal modo in cui si scopra il Regno – se per un venirci incontro apparentemente fortuito o all’interno di un cammino di ricerca – il passaggio dall’una all’altra fase, infatti, si realizza a condizione di saper discernere.

Ecco perché la liturgia odierna ha sapientemente collegato questa pagina del vangelo all’episodio del sogno di Salomone sulle alture di Gabaon. Perché lì, nella richiesta di Salomone a Dio di un cuore ascoltante è il segreto della sapienza. Solo l’ascolto può produrre sapienza, perché solo nella capacità di ascoltare la parola di Dio (che comporta anche – come emerge dalla spiegazione della parabola del seminatore – l’interiorizzazione, la perseveranza e la lotta per la custodia) l’uomo può essere davvero sapiente, capace cioè di guardare a tutti gli eventi della propria vita, a quelli della grande storia sapendo che tutti sono attraversati da un filo rosso che esiste anche quando non immediatamente noto ed evidente.

A ciò fa riferimento il detto finale di Gesù sullo scriba divenuto discepolo del Regno, che diventa capace di estrarre dal suo tesoro cose antiche e cose nuove: è questa, cioè, la capacità di riconoscere la piena continuità di Gesù con tutta la storia dell’antico Israele, ma anche di leggere la parola di Dio in ogni contesto, facendola diventare provocazione per la storia e per gli eventi. Il sapiente è colui per il quale tutto ha un suo posto, per il quale nulla è insensato e da tutto si può trarre qualcosa – esattamente come fa Dio costantemente nella storia narrata dalla Bibbia (pensiamo, ad esempio, alla vicenda di Giuseppe nel libro della Genesi, che è una significativa anticipazione della vicenda di Gesù!).

Questa consapevolezza è ciò che consente di non abbattersi, di non arrendersi anche di fronte al non senso apparente della vicenda presente, nella quale il dolore, il male, la violenza, sembrano prevalere (e, di fatto, in tanti momenti prevalgono): come ricorda Paolo ai Romani, infatti, «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio». Ma a questo lavoro che spetta al credente, corrisponderà, alla fine dei tempi, una restituzione dell’oggettività del bene e del male di cui gli uomini sono stati capaci. L’amore di Dio, che si fa possibilità nella libertà di scoprire, riconoscere e accogliere il Regno, non rinuncia mai alla verità di ciò che l’uomo sceglie di essere!

E così comprendiamo il valore strategico della terza breve parabola, quella della rete. La parabola della rete a conclusione della gran serie di parabole di queste domeniche è una consolazione che Gesù dà a chi ha il coraggio di farsi discepolo di questo Regno che è Lui è venuto a seminare nella storia! È una parabola che, se letta superficialmente sembra un doppione di quella della zizzania; in realtà sono tutte e due parabole di separazione, di discernimento ma, mentre la parabola della zizzania mette l’accento sulla presenza conturbante del male assieme al bene e sull’atteggiamento di speranza che bisogna nutrire con cuore paziente, la parabola della rete si sbilancia sulla “sorte” finale dei figli del Regno! «Essi splenderanno come sole nel regno del Padre loro»: davvero per questo vale la pena qualunque rinunzia!

All’inizio del discorso in parabole, Gesù ha invitato i suoi ascoltatori, attraverso la parabola cosiddetta del seminatore, a saper ascoltare, scegliendo di diventare il terreno buono: non si è un certo terreno, buono o cattivo, per caso o per destino. Si è il terreno che si vuole essere e, come Gesù spiega alla fine del suo discorso, il sapiente è colui che lo sa, è colui che conosce il giudizio al quale saremo tutti sottoposti a partire dalle scelte che abbiamo fatto rispetto a quel Regno che, sia pure in modi diversi, ci è venuto incontro, come il tesoro e la perla per i quali vale la pena rinunciare a tutto il resto. Tutti chiamati a essere conformi all’immagine del Figlio, non tutti siamo disposti a scegliere quella conformità e a vivere secondo quella somiglianza.
È questa la libertà che Dio mette in nostro potere: ma di quella libertà ci sarà chiesto conto e su essa noi tutti saremo giudicati.

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