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Tribunale ecclesiastico: “Consiglio, esempio, autorità, sacra potestà” come cambia il ruolo dei Vescovi nel praticare la Giustizia

Il 31 gennaio l'inaugurazione del VII anno Giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano con la presenza di S. E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi intervenuto sulle modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico

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Giovanna Corsale – Il VII anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano delle Diocesi di Alife-Caiazzo, Sessa Aurunca, Teano-Calvi (TEI Teano, questa la denominazione ufficiale) è stato inaugurato martedì 31 gennaio presso l’Auditorium comunale di San Potito Sannitico alla presenza dei sacerdoti delle tre Diocesi, di diversi Avvocati, di autorità civili e militari.
Al tavolo dei relatori S.E. Mons. Giacomo Cirulli vescovo delle tre Diocesi dell’Alto Casertano, S.E. Mons. Valentino Di Cerbo, vescovo emerito di Alife-Caiazzo e primo moderatore del TEI, S.E. Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in qualità di ospite e relatore principale; Mons. Francesco Leone, Vicario giudiziale del TEI.
A fronte del calo determinato dalla pandemia da Covid, il bilancio dei casi giudiziari relativo al 2022 evidenzia una risalita: sono infatti 11 le cause incardinate, di cui 6 concluse con esito affermativo e 5 ancora pendenti. Questo, in sintesi, il quadro presentato da mons. Francesco Leone. Dopo i saluti ai presenti, il Vicario giudiziale ha ripercorso il cammino dei 6 anni decorsi, in cui sono state decise e pubblicate circa 130 sentenze, definendo “l’esperienza fin qui fatta ed accumulata positiva pastoralmente e propositiva giudizialmente”.
L’intervento del Vescovo Mons. Cirulli ha inquadrato “storicamente” e pastoralmente il cammino del TEI riconoscendo nell’impegno dei tre vescovi fondatori (Di Cerbo, Piazza e Aiello) il fondamento su cui poggia l’attuale esperienza unitaria delle tre diocesi a lui affidate, avviate verso un comune cammino: “Questo tribunale, nato all’indomani della pubblicazione di Mitis Iudex Dominus Jesus per realizzare una giustizia secondo consolidati criteri di pastoralità e prossimità alla gente, oltre ad assolvere questa missione, si profila come esperienza più complessa: esso ha rappresentato il primo passo verso un cammino che oggi procede più speditamente”.
Sulla stessa linea Mons. Di Cerbo ricordando le ragioni pastorali per cui nasceva il TEI, ha definito il progetto “una scelta coraggiosa ma saggia, che faceva entrare i problemi di alcune famiglie nel calore delle nostre Chiese, sottraendo le soluzioni di alcuni seri problemi alla fredda burocrazia”, poi il riferimento al cammino comune delle tre Chiese dell’alto casertano, di cui il TEI ha costituito la prima esperienza: “Siamo terre di emigrazione; non lasciamoci prendere dal dispiacere di lasciare le nostre sponde” e l’invito a “vivere più di speranza che di nostalgia”.
Di seguito, i principali punti presentati da mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru della riforma avvenuta in seno al sistema penale della Chiesa con l’introduzione della costituzione apostolica Pascite gregem Dei promulgata da Papa Francesco nel maggio del 2021.

La riforma del sistema penale della Chiesa
“La recente costituzione apostolica Pascite gregem Dei ha sostituito per intero il Libro VI del Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983, riformando in modo rilevante il sistema penale della Chiesa finora in vigore”. La ragione a monte di tale scelta fu “la constatazione dello scarso impiego della disciplina penale da parte di chi doveva attuarla – i Vescovi delle diocesi e i Superiori religiosi –, che alla fine provocò un forte accentramento della disciplina penale in mano alla Santa Sede attraverso vie eccezionali, diverse da quelle ordinarie previste nel Codice”. Ciò che ledeva il sistema penale, ha spiegato Mons. Arrieta Ochoa de Chinchetru, erano i principi di Discrezionalità e indeterminatezza impedendo l’emanazione e la concreta sicurezza giuridica.
Scarica il testo integrale della Relazione. 

Riduzione della discrezionalità dei Pastori nell’applicazione delle sanzioni
Diverse sono le correzioni tecniche introdotte per limitare la discrezionalità penale dei Vescovi nei singoli casi, rendendo ad esempio obbligatorie molte sanzioni penali prima facoltative. Rispetto a casi che lasciano all’autorità il compito di punire o meno, la nuova versione del Libro stabilisce dei parametri con cui confrontarsi. Un’altra caratteristica significativa del rinnovato Libro VI è la maggiore attenzione nel “garantire la posizione dell’accusato all’interno del procedimento sanzionatorio” e ciò determinando con maggiore chiarezza i concetti di “presunzione di innocenza” e il cosiddetto “onus probandi a carico di chi esercita l’azione criminale”.

I criteri ispiratori della modifica
Le modifiche introdotte nel nuovo Libro VI rispondono fondamentalmente a tre criteri direttivi. Come precisato da mons. Arrieta, in primo luogo, il testo contiene adesso una adeguata determinatezza delle norme penali che prima non c’era, al fine di conferire un’indicazione precisa e sicura a chi le deve applicare. Meno discrezionalità, insomma. Le sanzioni sono adesso tassativamente elencate dal can. 1336; e il testo riporta ovunque parametri di riferimento per guidare le valutazioni di chi deve giudicare le circostanze concrete”. 
“Il secondo criterio è la protezione della comunità e l’attenzione per la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno. Il nuovo testo cerca di far rientrare lo strumento sanzionatorio penale nella forma ordinaria di governo pastorale delle comunità, evitando le formule elusive e dissuasorie che prima esistevano”.
“Il terzo obiettivo è quello di fornire al Pastore i mezzi necessari per poter prevenire i reati, e poter intervenire per tempo nella correzione di situazioni che potrebbero diventare più gravi, senza rinunciare però alle cautele necessarie per la protezione del presunto reo, a garanzia di quanto adesso afferma il can. 1321 §1: “chiunque è ritenuto innocente finché non sia provato il contrario”.
Scarica il testo integrale della Relazione. 

Il nuovo sistema penale e l’ambito della famiglia
“In quale maniera, ci si può domandare, le modifiche del sistema penale riguardano l’ambito della famiglia cristiana?”
, con questa domanda mons. Arrieta riannoda il filo del suo discorso soffermandosi sulla famiglia e sulla sua funzione di “pilastro” della società e quindi con la missione del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano. A tal proposito, “occorre osservare che il sistema penale canonico ha per oggetto la tutela dell’ordine pubblico della società ecclesiale” e che “la Chiesa indirizza per il rispetto dell’ambito familiare e cerca di rinforzare le scelte legittime dei genitori per proteggere l’intimità del nucleo familiare”. Come incide, tuttavia, il diritto penale canonico nell’ambito della famiglia? La nuova disciplina penale della Chiesa insiste sulla “finalità riparativa”, che implica la necessità di “riparare il danno e lo scandalo che il delinquente ha causato nella società e, in particolare, anche nelle comunità familiarità”. Altro aspetto su cui la rinnovata disciplina penale della Chiesa pone l’accento è la “protezione della vittima”, il tener conto che la fragilità umana, causa del reato, trova la sua origine nel nucleo familiare del reo. Nel Codice sono, inoltre, presenti anche indicazioni sulla protezione da riservare a minori e persone vittime del reato. Vengono ribaditi i doveri di educazione dei figli da parte dei genitori cattolici o di chi ne fa le veci: “il reato non si commette, invece, per la semplice scelta di una scuola non cattolica: in tal caso spetterà ai genitori l’uso dei mezzi necessari per salvaguardare la formazione cristiana”.
Mons. Arrieta chiosa il suo intervento soffermandosi su quello che definisce “un concreto compito al quale l’autorità preposta alla famiglia non rinunciare”, ossia “il dovere morale di denunciare all’autorità ecclesiastica eventuali delitti o irregolarità che possono danneggiare, non solo la Chiesa, nei confronti della quale egli ha un dovere come fedele battezzato, ma che specificamente possono incalzare la comunità familiare sulla quale, in quanto genitore e capo della comunità familiare, esercita una inderogabile responsabilità”. Si tratta di una scelta che impone “doppia responsabilità, di cittadinanza e di natura religiosa”, in cui si riflette lo stile del cristiano, il suo dovere di partecipare alla “missione della Chiesa”.
Scarica il testo integrale della Relazione. 

 

 

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