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La concretezza dell’amore: la domenica di Papa Francesco

Vicinanza, compassione e tenerezza: lo stile verso gli ammalati; poi un pensiero per le terre martoriate dai conflitti come Ucraina, la Palestina, il Myanmar

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In questa domenica, Giornata mondiale del malato, Papa Francesco ricorda che “la prima cosa di cui abbiamo bisogno quando siamo malati è la vicinanza delle persone care, degli operatori sanitari e, nel cuore, la vicinanza di Dio. Siamo tutti chiamati a farci prossimo a chi soffre, a visitare i malati”.
Marco nel suo Vangelo ci propone la guarigione del malato di lebbra, una condizione che allontanava la persona dalla comunità – impuro – e impediva la partecipazione al culto e a ogni pratica rituale, come si legge nel Levitico. “Se vuoi, puoi purificarmi”. Per Gesù niente è così grave e terribile da allontanare qualcuno definitivamente da Dio, così lo tocca e dice: “lo voglio, sii purificato”. Nessuno è impuro da lasciare ai margini della società. Gesù mangia con i pubblicani, con i peccatori; non ha paura del “contagio”, niente per lui è impuro, perché lo vince proprio con la sua vicinanza, con il suo stendere la mano.
All’Angelus Papa Francesco esprime “a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza”. Il momento della sofferenza – ricordava Benedetto XVI – è il tempo in cui “potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione”, ma anche il momento in cui “ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell’abbraccio del Padre”.

Ma in questa Giornata Papa Francesco non dimentica le tante persone “alle quali è negato il diritto alle cure, e dunque il diritto alla vita! Penso a quanti vivono in povertà estrema; ma penso anche ai territori di guerra: lì sono violati ogni giorno diritti umani fondamentali! È intollerabile. Preghiamo per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, preghiamo per il Myanmar e per tutti i popoli martoriati dalla guerra”.
Tornando al Vangelo di Marco, Francesco ricorda che lo stile di Gesù con chi soffre è fatto di gesti concreti e poche parole: “si china, prende per mano, risana. Non indugia in discorsi o interrogatori, tanto meno in pietismi e sentimentalismi. Dimostra piuttosto il pudore delicato di chi ascolta attentamente e agisce con sollecitudine”. Una concretezza “tanto più importante in un mondo, come il nostro, in cui sembra farsi sempre più strada una evanescente virtualità delle relazioni”. L’amore, ricorda il vescovo di Roma, ha bisogno di concretezza, di “presenza, di incontro, ha bisogno di tempo e spazio donati: non può ridursi a belle parole, a immagini su uno schermo, a selfie di un momento o a messaggini frettolosi. Sono strumenti utili, che possono aiutare, ma non bastano all’amore, non possono sostituirsi alla presenza concreta”.
Celebrando in San Pietro la canonizzazione di Maria Antonia de San José, la prima santa argentina, il Papa ha evidenziato le tre cause di una grande ingiustizia, le “tre lebbre dell’anima che fanno soffrire un debole, scartandolo come un rifiuto”: la paura del contagio; il pregiudizio, “Dio lo sta punendo per qualche colpa commessa”; la falsa religiosità, a quel tempo si pensava che toccare un lebbroso, un morto rendesse impuri: “ecco una religiosità distorta che alza barriere e affossa la pietà”.
Ma non sono solo cose del passato, dice Francesco: “quante persone sofferenti incontriamo sui marciapiedi delle nostre città! E quante paure, pregiudizi e incoerenze, pure tra chi crede e si professa cristiano, continuano a ferirle ulteriormente! Anche nel nostro tempo c’è tanta emarginazione, ci sono barriere da abbattere, ‘lebbre’ da curare”.
Nella lebbra, affermava Benedetto XVI, si può intravvedere un simbolo del peccato “che è la vera impurità del cuore, capace di allontanarci da Dio. Non è in effetti la malattia fisica della lebbra, come prevedevano le vecchie norme, a separarci da lui, ma la colpa, il male spirituale e morale”.
Per tornare all’Angelus, il Papa invita a mettersi in ascolto delle persone e non accampare scuse e nascondersi dietro parole astratte e inutili; e chiede: “quand’è stata l’ultima volta che sono andato a visitare una persona sola o malata?”.

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